Sebastián Lelio

Gloria Bell

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In un’epoca segnata dalla dicotomia tra eroi e antieroi, Gloria Bell appare più autentico di un film biografico. L’ultimo lavoro di Sebastián Lelio, remake del suo stesso Gloria (2013), è un’immersione nella straordinaria ordinarietà di un personaggio, non reale né eccezionale, uno scorcio di vita di una normale donna di mezza età, divorziata e con due figli ormai adulti, decisa a godersi ancora la vita e a combattere la solitudine, in cerca della propria realizzazione.

Se la classica struttura della narrazione si radica nelle relazioni tra soggetti, tra protagonisti e antagonisti, tra figure diverse a contatto, Gloria Bell, come del resto Una donna fantastica, tende a svilupparsi a partire dal solo personaggio primario, dalla sua esplorazione interiore, nell’essenziale rapporto con se stesso. Una auto-scoperta nutrita certamente dell’incontro con l’altro, che spesso è più scontro sterile, ma al solo scopo di delinearsi e comprendersi, e prima ancora di accettarsi.

Di questa nuova Gloria, ennesima protagonista femminile del cinema di Lelio, figura “ultima” eppure complessa e sfaccettata, lo spettatore fa vera esperienza, come un invito privato al suo mondo imperfetto, nei diversi ambienti in cui è calata, innanzitutto nell’intimità della sua casa e della sua auto, nella privacy della sua solitudine.

D’altronde il rapporto con gli altri, inizialmente dipinto teneramente come amore e affetto incondizionato nella vita, si dimostra di fatto fermo a una visione superficiale, campo visivo ristretto come quello che viene diagnosticato alla stessa Gloria durante la visita oculistica; o ancora come quello dei piani ravvicinati che dominano sul contesto, incapace di trasformare la percezione in conoscenza – troppo difficile, conflittuale, o perlomeno superfluo.

Nessuno, nessun personaggio è dotato del potere di perfezionare l’altro, né tantomeno di compiere la tanto ambita realizzazione della protagonista, che può avvenire solo contando sulle sue proprie esili forze. Sentenza quantomeno ingrata in questo piccolo mondo dove nessuno pare realmente capace di prendersi cura di sé e ognuno cerca (invano) di provvedere ad altri, a sua volta facendo affidamento sugli altri, come nella dolce poesia di Claudio Bertoni, che, letta da Arnold, fa commuovere Gloria:

If you were music, I’d be an ear.
If you were water, I’d be a glass.
If you were light, I’d be an eye.

Al contempo tutti i personaggi del film paiono tendere a una sorta di tenue autodistruzione, di decadenza, che tuttavia non è opera dell’età, non è da imputare ai processi meccanici di un tempo oggettivo, che in una complessiva prospettiva ottimistica appare invece rigeneratore, fonte di vita. È la stessa Gloria a menzionare la tesi scientifica per cui ogni corpo umano, grazie al rinnovamento cellulare, non ha più di dieci anni di età.

A causare il decadimento individuale sembra essere invero il processo opposto: non un’imposizione che ha origine da fuori, ma una sensazione di pesante responsabilità obbligata nei confronti di qualcosa – e qualcuno – di esterno al proprio essere; una necessità che viene da dentro e che dentro è sentita, conforme e parallela a un’idea soggettiva di tempo. Tempo che vola, goes by in a flash, frammentato come quello delle foto ricordo della propria vita passata, che seleziona e mantiene soltanto l’essenziale, omettendo ciò che sta in mezzo. È lo stesso gioco del montaggio del film, che ricalca questa cadenza interiore, la stessa della musica e del ballo, essenzialmente ritmo della vita mortale, della precarietà. «When the world blows up, I hope I’ll go down dancing», dichiara Gloria Bell.

Il film mette in scena la drastica contrapposizione tra vita e morte, mantenendosi tuttavia a distanza da entrambe, viaggiando agilmente nel mezzo: in casa di Gloria, ad esempio, tra il gatto, figura biblica di salvezza, che si materializza costantemente nell’appartamento, e il ragazzo con manie suicide che vive al piano di sopra; nel rapporto con la figlia, tra la sua gestazione e la carriera pericolosa del futuro marito; nella relazione con Arnold, tra il gioco di guerra e il volo liberatorio nel suo parco divertimenti. Canto e ballo sono la costante di questa esperienza del suo essere, tanto genuino da risultare universale. A ritmo di musica procede il film, melodia che accompagna la sua vita quotidiana, dalla quale lei stessa sceglie di farsi raccontare e lasciarsi attirare. Musica fatta di parole, che commentano le fasi della sua esistenza, permettendo una decisa identificazione con lei, un compassionevole prenderne parte; e musica fatta di suoni e armonie quasi ultraterrene, a caratterizzare quegli onirici momenti di svolta in cui perdersi, insieme a lei e dentro lei, momenti di comprensione, di accettazione, di un viaggio verso l’autorealizzazione nella semplicità di una vita regolare.

Gloria Bell
Usa-Cile, 2018, 102'
Titolo originale:
Gloria Bell
Regia:
Sebastián Lelio
Sceneggiatura:
Sebastián Lelio
Fotografia:
Natasha Braier
Montaggio:
Soledad Salfate
Musica:
Matthew Herbert
Cast:
Alanna Ubach, Brad Garrett, Caren Pistorius, Cassi Thomson, Holland Taylor, Jeanne Tripplehorn, John Turturro, Julianne Moore, Michael Cera, Sean Astin
Produzione:
Fabula, FilmNation Entertainment
Distribuzione:
Cinema Distribuzione

Gloria Bell è una donna di cinquant’anni con due figli ormai adulti e un divorzio alle spalle; nonostante la routine e la solitudine di tutti i giorni, non ha nessuna intenzione di smettere di godersi la vita e di credere all’amore, tra notti di balli sfrenati nei club di Los Angeles e amanti passeggeri. Durante una di queste serate, incontra Arnold: tra i due nasce una passione inaspettata, che li travolgerà con tutte le sue gioie e, soprattutto, le sue complicazioni. Ma per Gloria Bell, in fondo, nulla è insuperabile finché si può continuare a ballare.

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