Alonso Ruizpalacios

Güeros di Alonso Ruizpalacios

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A volte cadono cose dal cielo, fisicamente o metaforicamente. E l’atto del cadere segna una cesura, modifica in maniera più vera e visibile la porzione di realtà dove la caduta avviene, risvegliandola. Sono due i moti di caduta che segnano Güeros, opera prima del messicano Alonso Ruizpalacios, già premiata alla Berlinale nel 2014 e finalmente distribuita in sala. Il primo è il volo di un gavettone, il secondo è quello di un mattone. I palloni gonfiati d’acqua, mostrati allo spettatore nella primissima inquadratura del film, fanno riferimento, visivamente, anche all’etimologia del termine güero, da huero, l’“uovo matto”, non fecondato, che inizialmente indicherebbe le persone di pelle chiara, un’alterità meno connotata etnicamente rispetto a gringo: ma in realtà, nella quotidianità dei messicani, soprattutto dei giovani, il termine ha assunto quella natura blandamente goliardica e indifferenziata che ha, almeno per alcuni di noi, la parola zio usata per apostrofare un coetaneo.

È Tomás, il più giovane dei personaggi di Ruizpalacios, che è anche e il più güero, a innescare il meccanismo narrativo, lanciando il gavettone che vola e si sfascia sulla carrozzina di un bimbo, spinta da una babysitter isterica, e interrompe bruscamente quello che era un finto inizio del film, un depistaggio, girato con macchina a mano e grandangolo, sul collo dei personaggi. La conseguenza di quel gesto stupido, adolescenziale, è un “esilio” da Veracruz, che comporta il riavvicinamento al fratello maggiore, Fede, detto Sombra, che è molto più prieto (scuro) di lui, vive con l’amico Santos in un appartamento con arredi e allacciamenti di fortuna e studia a Città del Messico in un momento, il 1999, in cui l’università messicana è in subbuglio per uno sciopero che ha fatto epoca.

Tomás porta con sé una vecchia audiocassetta, una delle poche cose che gli rimangono del padre, e la ascolta e fa ascoltare instancabilmente, col walkman: è, guarda caso, Los Güeros, di Epigmenio Cruz, “El hombre que hizo llorar a Bob Dylan”; l’unico pianto che il regista ci concede, però, è il cigolio stanco dell’apparecchio, sospeso in un silenzio felpato. Quando scoprono dalla radio che Cruz è ricoverato per un malore, Sombra, Tomás e Santos, si mettono in marcia per andare a portargli un ultimo omaggio.

Il ragazzino capisce presto quanto conti, anche per il fratello maggiore, questo cantautore e poeta, ritiratosi a vita privata, misterioso e affascinante come un Ètant donné duchampiano; non capisce, forse, quanto questo inseguimento di un mito legato alla memoria del padre, valga come elaborazione della perdita e neutralizzazione, se non uccisione, della memoria stessa. Il viaggio, attraverso il dedalo della metropoli messicana, ne sfiora luoghi raramente visti al cinema, riuscendo al contempo, se non a dribblare, a piegare i topoi alle proprie necessità: il détour nel campus occupato, quando al terzetto si aggiunge Ana, una sorta di fidanzata platonica di Sombra, la situazione, e l’apparizione del personaggio, sono veri e commuoventi come solo certi topoi, in quanto tasti esperienziali largamente condivisi, sanno essere.

Road movie, coming of age o Bildungsroman che si voglia, Güeros è un film dove la forma, le forme testuali, visive, sonore, hanno un’importanza fondamentale senza avere mai il sopravvento sulla godibilità del racconto e dello spettacolo, dove lo stile non uccide la verità. Girato in un rigorosissimo bianco e nero, a maggior ragione si finisce per ridere quando Sombra dice ai suoi compagni di strada: «Puto cine mexicano, agarran unos pinches los filman en blanco y negro y dicen que ya están haciendo cine de arte» con un affondo subito dopo sul rapporto tra i registi messicani e una certa critica europea, francese, alla quale si fa credere che il Paese non sia altro che «un nido de marranos, rotos, diabéticos, agachados, ratoneros, fraudulentos, traicioneros, malacopa, putañeros, acomplejados y precoces»; non è difficile riconoscere l’universo dei Reygadas e degli Escalante graditi ai francesi, e però, allo stesso tempo, la critica animosa mossa dal personaggio sembra non coincidere con il gusto e le intenzioni dell’autore, che pare piuttosto intenerirsi per la sfumatura qualunquista di queste obiezioni.

Né, d’altra parte, Ruizpalacios sembra guardare a quei modelli, nella costruzione di Güeros. Traspare in maniera precisa una passione per il linguaggio della Nouvelle Vague, ma anche per i primi film di Jarmusch: ed è una coincidenza singolare che questo film, che tra le altre cose esplicita il ragionamento sulla poesia, sulla genesi dell’immagine poetica, citando esplicitamente il Rilke dei Neue Gedichte, esca dai cassetti proprio appena dopo la presentazione cannense di Paterson.

Una dimensione poetica che si ancora, rilkianamente, alle cose. E infatti di fisica, di moto dei gravi, parlavamo, e dicevamo che le cadute in questo film sono due. La seconda caduta, il secondo risveglio, è il volo di un mattone che colpisce la macchina su cui i fratelli stanno viaggiando, deviando il loro percorso verso un incontro insperato, a riempire il blank space sonoro che fino a quel momento ha accompagnato le canzoni di Epigmenio, con una verità che ha, appunto, un diverso peso specifico, il peso dell’esperienza di quelli che guardano i treni partire.

Güeros
Messico, 2014, 106'
Titolo originale:
Güeros
Regia:
Alonso Ruizpalacios
Sceneggiatura:
Alonso Ruizpalacios, Gibran Portela
Fotografia:
Damian Garcia
Montaggio:
Ana García, Yibran Asuad
Musica:
Tomás Barreiro
Cast:
Ilse Salas, Leonardo Ortizgris, Sebastián Aguirre, Tenoch Huerta
Produzione:
Catatonia Films, Conaculta
Distribuzione:
Bunker Hill

Città del Messico, 1999. Dopo aver scoperto che il suo cantante preferito è in fin di vita, l’irrequieto adolescente Tomàs convince il malinconico fratello Federico a raggiungere l’ospedale per rendere un ultimo omaggio all’artista. Accompagnati dall’amico Santos, i due fratelli arrivano a destinazione e scoprono che il loro idolo d’infanzia è scomparso. Decisi a proseguire le ricerche i ragazzi si lanciano in un’avventura on the road che coinvolge anche la ribelle Ana, passato amore di Federico mai davvero dimenticato. Attraversando Città del Messico in lungo e in largo, inizia così un viaggio che diventa inno della più appassionata e indomabile giovinezza.

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