Steven Spielberg

L'avvicinamento degli opposti

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In questo film, Steven Spielberg usa la dissolvenza incrociata come segno di adesione a un’ideologia. Lo fa (quasi) all’inizio, e poi, con un’allegoria, nel finale, sul ponte.

Vado per ordine. È con una dissolvenza incrociata che i volti di Rudolf Abel e di Francis Gary Powers “s’incontrano” per la prima volta: una dissolvenza incrociata “tradizionale”, leggera, il viso in primo piano della spia russa a sfumare a sinistra dello schermo mentre quello della giovane spia americana emerge in primo piano a destra, con relativo cambio di scena. Durante la resa dei conti, a Berlino, le due spie si “ritrovano” ma si vedono dal vivo per la prima volta: il loro scambio avviene simultaneamente, alla pari, Abel e Powers vengono rilasciati dai rappresentanti delle due potenze in campo; Spielberg “inquadra” con un plongée, mentre i due personaggi, a piedi, sul Ponte di Glienicke, si avvicinano e infine si superano reciprocamente, verso due direzioni opposte (e due destini diversi). Si tratta, in quest’ultimo caso, di una dissolvenza incrociata “dal vero”, un passaggio di testimone, due movimenti paralleli e contrari che si sfiorano.

La dissolvenza incrociata è un arnese stilistico un po’ demodé, e molto meno aggressivo – e anche meno abusato - del piano sequenza, per esempio. Difficile usarlo a scopi dimostrativi, o con arroganza autoriale. Per rimanere alla Hollywood contemporanea, uno dei registi che meglio l’hanno saputa applicare, è Ridley Scott (senza dimenticare però quelle di Paul Thomas Anderson in Vizio di forma). Fra i possibili espedienti formali a sua disposizione, Steven Spielberg, che per Il ponte delle spie adotta il formato scope trattandolo però come un 1.33:1, e concentrandosi prevalentemente sul centro (non fa eccezione l’unica scena d’azione in volo: fateci caso), sceglie la dissolvenza incrociata in due momenti fondamentali. Lo stile è altrove piano, molto composto, e soltanto in queste due scene si permette una punteggiatura imprevista, peraltro senza scomporsi, senza agitarsi, anzi rimanendo impassibile, ordinato (qualcuno direbbe “classico”, ma non se ne può più del “classico” applicato a piacere). Resta da chiedersi la ragione.

Perché, in uno spy movie da Guerra Fredda che si apre poco prima della visita americana di Chruščëv del settembre del 1959, primo Presidente dell’Unione Sovietica a recarsi negli Stati Uniti con l’intenzione di favorire fra le due potenze un clima di distensione, Spielberg decide di marcare la sua grammatica con una cifra retorica (ma della retorica del cinema, s’intende) decisamente poco scontata? Provo a rispondere: perché credo che questa dissolvenza incrociata spielberghiana, sia come dispositivo filmico di spostamento e “progressione” (della vicenda, del tempo, della Storia), sia come gesto di attraversamento (di un luogo, di un’immagine, dello schermo), sia un atto politico, una dichiarazione d’intenti più forte e chiara di tutto Lincoln. Se la dissolvenza incrociata è anche una condivisione, benché di breve durata, allora essa è la risposta di Spielberg a qualunque scissione, ad ogni smembramento, settore, ripartizione: condivisione come partecipazione di uno spazio, di un’idea, di un’ideologia prepotentemente – anche a costo d’ingenuità – comune. 

Considerate le superpotenze coinvolte, Usa e Urss, e al di là di tutti i discorsi poetico-filmografici eventuali, mi sembra che la dissolvenza incrociata di Il ponte delle spie sia lo specchio evidente di un’intenzione. Poco importa che, a tal proposito, si tirino in ballo l’industria e il sistema: nelle due scene descritte c’è più cinema “giusto” che in un anno intero di produzione. D’altronde, se c’è questo titolo, non è prevedibilmente soltanto per dovere di set: sarà banale evidenziarlo, però il ponte, che unisce, raccorda, lega, incrocia (proprio come la dissolvenza), è ben più emblematico e simbolico di qualsiasi Muro, che al contrario scompone, distribuisce, raziona.

Il ponte delle spie
Stati Uniti,Germania, 2015, 141'
Titolo originale:
Bridge of Spies
Regia:
Steven Spielberg
Sceneggiatura:
Matt Charman, Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia:
Janusz Kaminski
Montaggio:
Michael Kahn
Musica:
Thomas Newman
Cast:
Mark Rylance, Domenick Lombardozzi, Victor Verhaeghe, Mark Fichera, Brian Hutchison, Tom Hanks, Joshua Harto, Henny Russell, Rebekah Brockman, Alan Alda, John Rue, Billy Magnussen, Amy Ryan, Jillian Lebling, Noah Schnapp, Eve Hewson, Joel Brady, Austin Stowell, Michael Pemberton, Jesse Plemons, Geoffrey Rude, Michael Kempen, Michael Gaston, Dakin Matthews, Stephen Kunken, Scott Shepherd, Jon Curry, Wes McGee, Jim C. Ferris, Lucia Ryan
Produzione:
DreamWorks Skg, Marc Platt Productions, Participant Media, Studio Babelsberg
Distribuzione:
20th Century Fox

Il ponte delle spie racconta la storia di James Donovan, un famoso avvocato di Brooklyn che si ritrova al centro della Guerra Fredda quando la CIA lo ingaggia per un compito quasi impossibile: la negoziazione per il rilascio di un pilota statunitense, Francis Gary Powers, abbattuto nei cieli dell'Unione Sovietica mentre volava a bordo di un aereo spia U2.

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