Benjamín Ávila

L'importanza di chiamarsi Ernesto

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Essere preadolescenti a Buenos Aires, nel 1979, non doveva essere facilissimo, ma del resto non lo era e non lo è in qualsiasi grande città del pianeta. Ma essere figli di una coppia di montoneros scampati alle repressioni del regime militare, fuggiti a Cuba e rientrati in Argentina in clandestinità, quello sì che era un problema serio.

Juan deve fingere di essere Ernesto, "El Cordoba", con i suoi compagni di classe, con i suoi insegnanti e con Maria, il suo primo amore. A casa, dietro casse di arachidi al cioccolato, mamma, papà e lo zio Beto preparano la controffensiva e indottrinano il ragazzo.

Ricordate La historia oficial, il film con cui Luis Puenzo aprì al mondo, nel 1985, in confezione un po’ patinata, il teatro delle ombre del passato appena rimosso, degli anni della "Guerra sucia"? A quasi trent’anni di distanza il regista argentino è produttore di Infancia clandestina, esordio al lungometraggio di Benjamín Ávila.

La storia che Ávila racconta è ampiamente autobiografica, lo svelano i super8 nei titoli di coda, e a certificarne la veridicità ci sono anche i sigilli di ceralacca un po’ pretenziosi che sono il logo di Historias Cinématograficas, la società di Puenzo e famiglia. A raffreddare invece i momenti più violenti della vicenda troviamo sequenze animate realizzate da Andy Riva, amico e sodale di Ávila.

Non è di certo possibile compendiare in poche righe di quale "marxismo" fossero tacciati i montoneros, le loro ambiguità ideologiche, la loro attività nello scenario argentino, nel periodo tra la morte di Peron e la fine del regime militare. Allo stesso modo, tra i limiti del film, c’è proprio quello di dover semplificare lo sfondo, tagliando le situazioni un po’ col coltello, riducendo il clima di tensione vera a pochi momenti, dentro e fuori la casa-rifugio. Il film si incardina in gran parte sulla performance del giovane Teo Gutiérrez Moreno (Juan) e sulle gag dello zio Beto (Ernesto Alterio), il lato umano della resistenza peronista. 

Presentato a San Sebastián nel 2011 in un rough cut e poi a Cannes, nella stessa Quinzaine des Réalisateurs 2012 dove si annidava un gioiello come No di Larraín, il film di Avíla è alimentato e frenato al tempo stesso dall’energia e dall’urgenza dell’autobiografismo: uno sguardo troppo prossimo, interno agli avvenimenti, indebolisce il discorso su un capitolo della storia recente che attende ancora chiarimenti profondi, oltre le “storie ufficiali” che l’Argentina contemporanea si è raccontata e si racconta per acquietare gli animi.

 

 

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Infanzia clandestina
Argentina, Spagna, Brasile, 2011, 112'
Titolo originale:
Infancia clandestina
Regia:
Benjamín Ávila
Sceneggiatura:
Benjamín Ávila, Marcelo Müller
Fotografia:
Iván Gierasinchuk
Montaggio:
Gustavo Giani
Musica:
Marta Roca Alonso, Pedro Onetto
Cast:
Natalia Oreiro, Ernesto Alterio, César Troncoso, Cristina Banegas
Produzione:
Historias Cinematograficas Cinemania, Habitacion 1520 Producciones, Antartida Produccions, Academia de Filmes, RTA Radio y Televisión Argentina
Distribuzione:
Good Films

Buenos Aires, 1979. Juan è un bambino di dodici anni che vive sotto falsa identità insieme alla sua famiglia, rientrata da poco clandestinamente in Argentina dopo anni di esilio. I genitori di Juan e suo zio Beto sono infatti attivisti dell’organizzazione dei Montoneros, in lotta contro la giunta militare e per questo ricercati dalla polizia. Mentre a casa può essere se stesso, Juan deve presentarsi come Ernesto sia a scuola che nel quartiere in cui vive, un’identità fasulla che non deve mai dimenticare: il minimo errore può essere fatale a tutta la sua famiglia. Nonostante la sua giovane età, si ritrova così a vivere in due differenti universi: il mondo di Juan e il mondo di Ernesto, due realtà che spesso si scontrano ed entrano in conflitto. Quando però conosce María, una ragazzina per cui prova i primi sentimenti amorosi, Juan pensa di non poter continuare a nascondersi per sempre: una scelta che però potrebbe essere molto rischiosa.

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