Stefano Incerti

La parrucchiera

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Napoli è femmina. Ed è libera, meticcia, melodica, maleducata, ribelle, appassionata. Niente di più facile che perdere il confronto (cinematografico) con quell'indomabile magma, che mal si lascia incanalare dentro una trama lineare, i canoni di un genere, i vezzi eventuali di uno stile. Non per niente Stefano Incerti sceglie di lasciarsi andare alla deriva dei personaggi, le sotto-trame, i toni e i temi, i vicoli e le canzoni (tante canzoni).

Tutto gira intorno a Rosa, parrucchiera bellissima e verace, alla sua decisione (una necessità, dopo l'aggressione sessuale del capo) di mettersi in proprio, aprendo un negozio che si chiama “Testa e tempesta”, ma tutto presto esplode in tante direzioni: la guerra dichiarata dalla spaventosa ex-padrona; l'amica trans con l'amante fifone; il romantico tatuatore che sogna l'amore; il figlio adolescente con gli ormoni in circolo; l'usuraia con un occhio solo che legge i tarocchi; l'ex bambino prodigio gay, umiliato dalla vita; la bella e colorata umanità dei Quartieri Spagnoli; l'illegalità diffusa, la povertà, la gioia di vivere; la tv che trasforma una storia di riscatto individuale in un'impresa sociale.

Si parte da un piano sequenza che è un vortice di colori e rumori. Si prosegue alternando momenti di abbandono ispirato e scene ad effetto premeditate, movimenti a schiaffo della mdp e derive scenografiche almodovariane (anche nella versione “caramellata” di Nadine Labaki). Ma il pop è popolare davvero, la città c'è e si sente, il divertimento sembra sincero, l'umanità brulicante.  Quando pensi di stare dentro un musical, ecco che ti ritrovi in un doc a sfondo sociale. Quando il melò ti ha quasi convinto, il film diventa un cartone animato. Quando la commedia ha la meglio, il dramma la smentisce e cerca di nobilitarla (fin troppo). 

La partita, dicevamo, era persa in partenza. Stanno lì a dimostrarlo il finale frettoloso, lo svolgimento per accumulo gonfio fino a scoppiare, le figurine bidimensionali, le soluzioni facili. Eppure Incerti è riuscito a vincerla, perché un film del genere non trova certo la sua ragione d'essere nella trama rotonda e credibile, o nella complessità psicologica dei suoi personaggi. Sta nel colore, l'energia, l'alchimia degli interpreti (magnifico cast), il negozio ricavato da una stalla del '700, le case occupate, i neri che lavorano in nero, la trans che “perde la zinna” per strada, la musica generosa, lo stereotipo che si anima, la macchietta che ha un suo perché. Sta nella scelta, facile ma azzeccata, di raccontare un mondo fatto di donne, in cui l'accoglienza non è un problema o un processo ma un'ovvietà, un dato acquisito, quasi ancestrale, dove la multiculturalità non è una brutta parola fuori moda, ma un fatto naturale. Un film scombinato, imperfetto, che avremmo voluto più anarchico, ma comunque un film vivo. Di questi tempi, se parliamo di commedia italiana, è già qualcosa.

La parrucchiera
Italia, 2017, 108'
Titolo originale:
La parrucchiera
Regia:
Stefano Incerti
Sceneggiatura:
Mara Fondacaro, Marianna Garofalo, Stefano Incerti
Fotografia:
Cesare Accetta
Montaggio:
Dario Incerti
Musica:
Antonio Fresa
Cast:
Alessandra Borgia, Arturo Muselli, Cristina Donadio, Ernesto Mahieux, Lucianna De Falco, Massimiliano Gallo, Pina Turco, Tony Tammaro
Produzione:
Skydancers
Distribuzione:
Good Films

Una donna decide di mettersi in proprio e aprire un salone nei Quartieri spagnoli ma scatterà la rivalità con la sua ex titolare.

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