Christian Vincent

La corte di Christian Vincent

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Un’ora. Un’ora di dialoghi, discussioni, domande, risposte, sguardi, silenzi e interrogazioni, per di più senza andare di corsa, ma semplicemente costruendo la solida e invisibile struttura di un mondo…

Ci mette un’ora il sorprendente e inatteso La corte a diventare un film con qualche piccola debolezza, ricorrendo alla solita canzone indie-pop per spezzare il ritmo e lasciando per un attimo i personaggi alla loro solitudine, fuori dal tribunale della città francese in cui è per buona parte ambientato, o al massimo fuori dai bar e dall’albergo che gli orbitano accanto.

Protagonista non è solamente il giudice della Corte d’assise che presiede il processo per l’uccisione di una bambina di sette mesi (un grandissimo Fabrice Luchini), ma, insieme a lui – sessantenne separato dalla moglie, uomo di legge esperto e un po’ crudele, temuto e insieme deriso dai colleghi – le figure che popolano l’aula di un tribunale: i giudici a latere, gli avvocati della difesa, il pm, i giurati, gli imputati, i testimoni.

È attraverso loro, sotto lo sguardo indagatore dell’uomo di legge, che si delinea il quadro di un società – quella francese – strutturata verticalmente, ancora oggi pesantemente divisa in classi, ma chiamata ad affermare un principio di giustizia, a stabilire un senso comune che distingua ciò che è lecito da ciò che è illegale.

In maniera sottile, quasi invisibile e mai soffocata, grazie alla precisione dei dialoghi, dei particolari, dei volti e delle battute, La corte costruisce l’immagine a molteplice dimensione di un mondo stratificato. Sono le parole dei giurati, uomini e donne comuni chiamati a partecipare alla cosa pubblica, a chiarire il valore di una provenienza nazionale, regionale e urbana, a indagare livelli di cultura ed educazione, a stabilire le priorità che regolano una società di colti e di disoccupati, di violenti e di invidiosi, di ricchi e di poveri.

E sono i vestiti (una sciarpa rossa, un collo d’ermellino, un maglione sformato, un paio di leggins a fiori, un giaccone pesante, un paio di anfibi) a determinare la colpevolezza o l’innocenza di un uomo, a svelare soprattutto lo stato sociale di una persona, la vita quotidiana di una coppia di potenziali assassini e di autentici disperati.

E, ancora, sono i gesti, i semplici e nudi gesti della realtà che ogni giudice è chiamato ad analizzare senza emozione, ad affermare non la verità delle cose, ma la possibilità di trovare un senso e una giustizia nel dipanarsi delle cose. Gli stessi gesti, però, che nella vita privata di quello stesso giudice – innamorato di un’anestesista incontrata anni prima e ritrovata in tribunale come giurata popolare – diventano non fredde evidenze, non prove agli atti, ma sfumature, segnali d’amore o di semplice interesse, linguaggio del corpo che invoca la comprensione e l’amore che in aula di tribunale si negano a chiunque…

La corte ricorda vagamente l'ultimo romanzo di Ian McEwan, La ballata di Adam Henry di Ian McEwan, che ha per protagonista una figura molto simile a quella di Luchini: un giudice donna che oppone il rigore della legge all’impenetrabilità del reale e crolla di fronte all’emergere del sentimento.

A un certo punto, però, dopo la splendida, compattissima, profonda eppure leggerissima prima ora, il film a differenza del romanzo segue la strada della commedia: perde forse in intensità e compatezza, ma in questo caso non sbaglia praticamente nulla, scegliendo ancora di giocare sugli oggetti, sui movimenti del corpo e sulle parole, tra il video di un cellulare, una canzone, due mani che si toccano, un vestito... E resta a sorpresa (onestamente: Christian Vincent non è certo un genio e alzi la mano chi non si aspettava la solita commedia geriatrica con Luchini) un frammento in stato di grazia di commedia umana, tra Balzac e il Carrère di Vite che non sono la mia

La corte
Francia, 2015, 98'
Titolo originale:
L'hermine
Regia:
Christian Vincent
Sceneggiatura:
Christian Vincent
Fotografia:
Laurent Dailland
Montaggio:
Yves Deschamps
Musica:
Claire Denamur
Cast:
Serge Flamenbaum, Emmanuel Rausenberger, Gabriel Lebret, Salma Lahmer, Victor Pontecorvo, Miss Ming, Michaël Abiteboul, Jennifer Decker, Hélène Van Geenberghe, Claire Assali, Chloé Berthier, Magaly Godenaire, Bruno Tuchszer, Jean-Marc Guillerme, Julien Emirian, Francis Cherquefosse, Jeannine Le Gru, Christine Roland, Raphaël Ferret, Géraldine Roguez, Lucie Bibal, Daniel Isoppo, Abdellah Moundy, Simon Ferrante, Fouzia Guezoum, Sophie-Marie Larrouy, Corinne Masiero, Eva Lallier, Sidse Babett Knudsen, Fabrice Luchini
Produzione:
Albertine Productions, Cinéfrance 1888, France 2 Cinéma
Distribuzione:
Academy Two

Michel Racine Presidente di corte d’assise, un giudice severissimo e inflessibile, temuto da tutti. Un giorno però, casualmente,si ritrova davanti la donna di cui sei anni prima si era innamorato in segreto, fore l'unica che abbia mai amato. Ditte Lorensen-Coteret, viene infatti convocata come giudice popolarenel processo a carico di un uomo accusato di omicidio. Fabrice Luchini ha vinto per lìinterpretazione di Michel Racine la Coppa Volpi come Miglior attore protagonista all'iltima Mostra di Venezia dove il film ha vinto anche il Premio per la Migliore sceneggiatura.

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