David Grieco

La macchinazione

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Per una curiosa, involontaria coincidenza, quando due anni fa nell’articolo scritto nel primo piano dedicato da “Cineforum” n. 539 al Pasolini di Abel Ferrara, “L’ultima tentazione di Pasolini”, auspicavo, anzi rimpiangevo neanche tanto provocatoriamente che quel film non l’avesse fatto con ben altra competenza e cognizione di causa l’altro Ferrara, il sempre bistrattato Giuseppe Ferrara, già coraggioso e spregiudicato autore di Cento giorni a Palermo, Il caso Moro, Giovanni Falcone e I banchieri di Dio, ignoravo che fosse in predicato un film parallelo su Pasolini. E francamente ci voleva, dopo quel Pasolini, questo La macchinazione, alternativo, ugualmente proprio sugli ultimi giorni di vita di Pasolini, ma speculare per modo di dire, poiché orgoglioso del proprio impianto dietrologico, informato dei fatti.

Ora, comunque lo si voglia giudicare, La macchinazione, che David Grieco ha realizzato sulla scorta dell’omonimo libro pubblicato l’anno scorso per Rizzoli, La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte, è un film serio, appassionato. Insomma, che non te la manda a dire. Un film sincero, come l’avrebbe fatto appunto Ferrara. Con quello che non è tanto un difetto, ma una scelta consapevole: abbracciare la pista del complotto senza se e senza ma, tirando diritto, ben sapendo e dichiarando (nella didascalia inaugurale) la diuturna e proverbiale inadempienza di contro degli intellettuali italiani verso le questioni scottanti. 

Non è un caso che si sente spesso, da parte di qualche guru della cultura nazionale, dichiarare fieramente il proprio disinteresse, anche a proposito del “cadavere eccellente” di Pasolini, per le investigazioni, quantunque anche queste siano diventate un genere letterario a se stante e spesso facciano tendenza. Ma non è certo per maggiore impegno conoscitivo che si rifiuta di indagare, di sapere, di capire da parte loro, bensì per comoda posizione di rendita. Lasciando sdegnosamente e altezzosamente che della morte di Pasolini in chiave politico-indiziaria, o giudiziaria se ne occupino altri, sempre altri.

Ecco, la stessa sufficienza verso La macchinazione, mascherata da ortodossia della messa in scena e in quadro, coincide di fatto con quest’atteggiamento generalizzato, aristocratico e di comodo nei confronti della “dietrologia”, fisiologico atteggiamento di un paese come l’Italia in cui – diceva Norberto Bobbio – è molto difficile, se non impossibile invece “vedere cosa c’è davanti”.

La macchinazione, pregi e difetti, non ha importanza, è un film che si assume una precisa responsabilità: quella di sacrificare la forma al contenuto, la prudenza al determinismo, per una volta sposando in pieno le tesi del poeta Gianni D’Elia, che per primo e clamorosamente ha portato alla ribalta la lettura comparata di Petrolio con il libro fantasma del fantomatico Giorgio Steimetz dal titolo Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, edito dall’Agenzia Milano Informazioni, nel 1972. Il libro, come ricorda La macchinazione, scompare immediatamente dalla circolazione, per essere ripubblicato dall’editrice milanese Effigie solo nel 2010. D’Elia nel suo Il petrolio delle stragi, edito sempre da Effigie nel 2006, aveva ricondotto l’omicidio di Pasolini a quello del presidente Enrico Mattei, alla successione ai vertici dell’Eni, cioè alle impressionanti argomentazioni contenute nel fatale e invisibile Questo è Cefis.

Grieco, amico e collaboratore di Pasolini in tempi non sospetti, diversamente da coloro i quali, tutti o quasi, ne parlano, lo rievocano, si smarriscono in proclami o aneddoti di scarsa rilevanza, autoreferenziali, che fa? Decide invece di procedere (il che, cinematograficamente parlando vuol dire anche “processare”) senza indugi, per conto suo, eliminando dubbi, spazzando incertezze. Si costituisce, comunque con grande onestà intellettuale, parte civile, arrivando a rinunciare, crediamo per eccesso affettivo e non per supponenza, al principio pur indispensabile in un’inchiesta ortodossa e rigorosa di falsificare le proprie certezze in continuazione.

Gli si può forse rimproverare questo surplus di sicurezza dimostrativa, didascalica, senza sfumature né mezzi termini, ma non di aver scelto scorciatoie estetiche, pruriginose, menzognere. Gli si può rimproverare di aver voluto un attore come Massimo Ranieri, che non ha l’età di Pasolini. Ma non far finta che nella sua sobrietà e turbata pensosità, nonché nell’aderenza fisica (dove trovare un volto altrettanto scavato in una società dello spettacolo di attori pascenti e pasciuti), Ranieri riesca dal principio a darsi a vedere come simulacro di spessore in grado di far dimenticare persino il problema dell’evidenza immediata.

Certo, il prezzo maggiore che paga La macchinazione è quello dell’appartenenza, volente o nolente a un genere. Già perché ormai quello dei film pregressi su Pasolini, tutti inutili e sostanzialmente volgari, prima ancora che brutti, con la sola eccezione di Pasolini - Un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, è diventato un genere nazionale, con attori che si avvicendano nell’improbabile e insostenibile pratica mimetica. La macchinazione è al contrario, pur trovandosi confuso in questa mischia, un’opera schietta, che sa farsi perdonare ciò che può legittimamente non piacere, a cominciare dall’eccessiva causalità nella concatenazione degli eventi.

Questo perché fa trasparire in ogni sua piega comunque l’autenticità, la competenza, il senso civile, lo spirito di servizio, anche a costo di semplificazioni marcate. Del resto se Grieco ha sentito il bisogno di scegliere sempre la linea retta per unire due punti è perché si rende conto molto bene che il nostro è un paese cronicamente afflitto da un “deficit di verità”, che finisce per fare sempre il gioco di tanti, a livelli diversi, di minima o massima compromissione. E nel cui novero rientrano anche coloro i quali preferiscono parlare d’altro, occuparsi di aspetti per così dire più “importanti” anziché sguazzare – bontà loro – nella palude dietrologica, sempre insidiosa, poco conveniente quando si cerca la promozione colta, individuale.

La macchinazione, piaccia o no, è un film che non va tanto per il sottile, che marcia senza sosta nel chiarire puntualmente l’opacità del contesto, portare a tutti i costi la luce nelle zone d’ombra. Un film non privo tuttavia di spunti preziosi (basta osservare attentamente il mosaico di testi sulla scrivania del protagonista per farsene un’idea circostanziata, oltre che filologicamente corretta), che così reagisce alla solfa del già detto, del già visto, rilanciando, colmando la misura, inducendo chi di dovere magari a tornare sul luogo del delitto, riaprire il caso, affrontarlo nelle sedi competenti, magari nel breve termine.

Dunque, un film esplicito, alla Ferrara, Giuseppe e non Abel, per sua e nostra fortuna. Il miglior complimento o incoraggiamento, oggi, che gli si potrebbe fare.

La macchinazione
Italia, Francia, 2016, 100'
Regia:
David Grieco
Sceneggiatura:
David Grieco, Guido Bulla
Fotografia:
Fabio Zamarion
Montaggio:
Francesco Bilotti
Cast:
Massimo Ranieri, Libero De Rienzo, François-Xavier Demaison, Matteo Taranto, Milena Vukotic, Roberto Citran, Catrinel Marlon, Paolo Bonacelli, Toni Laudadio
Produzione:
Propaganda Italia, To Be Continued, Montfluor Film
Distribuzione:
Microcinema

Nell'estate del 1975, Pier Paolo Pasolini sta montando quello che sarà il suo film, Salò o le 120 Giornate di Sodoma. Negli stessi giorni, Pasolini sta scrivendo Petrolio, libro profetico su quella che sarà l'Italia del futuro. Pasolini frequenta un ragazzo di borgata, Pino Pelosi. E' una borgata dove comincia a muovere i primi passi un'organizzazione criminale che si avvia a diventare padrona della città: la Banda della Magliana. Pasolini sarà ucciso la notte dell'1 novembre successivo, e la sua morte violenta innescare dubbi e sospetti su responsabilità esterne e macchinazioni. 

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