Federica Di Giacomo

Liberami

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Nel 2009 Lourdes di Jessica Hausner raccontava con sguardo oggettivo la vicenda di un gruppo di pellegrini in visita al santuario di Lourdes e le guarigioni miracolose che in esso avvenivano. Lo spettatore era messo di fronte a una dualità di pensiero e un corto circuito: mistero della fede o fabbrica dei miracoli? Manifestarsi del divino o commercio del sacro attraverso monili e acque benedette? Nel film, fedeli e miscredenti vedevano entrambi rappresentate le proprie convinzioni rispetto alla questione religiosa. E a Venezia, non a caso, Lourdes ottenne sia il Premio Signis dell’Organizzazione cattolica per il cinema sia il Premio Brian dall’unione degli atei e degli agnostici razionalisti.

Anche Liberami, che alla Mostra di quest’anno ha vinto il Premio Orizzonti per il miglior film, è una di quelle opere che mette insieme, nel solo momento della visione, agnostici e credenti. Ancora una volta, ognuno ritrova le proprie convinzioni. Dalla fede in Dio, costellata da dubbi ed esitazioni, al totale distacco e allontanamento da quest’ultima e dalla Chiesa che lo “rappresenta”.

Federica Di Giacomo sceglie di immergersi nella pratica degli esorcismi, ormai in costante aumento, in particolare in una diocesi del palermitano. Parla di fede occasionale o di circostanza, del rapporto particolareggiato che ciascuno, credente o no, intrattiene con l’istituzione Chiesa, dove sacro e profano sono mescolati. Il suo è uno sguardo senza (pre)giudizio, osserva e restituisce il quotidiano di due donne, Gloria e Anna, e di due giovani, Enrico e Giulia. Non ferrei credenti, ma persone che si avvicinano alla Chiesa nel momento in cui le loro esistenze sono preda di una forte crisi esistenziale.

Una volta a settimana l’appuntamento fisso è con le lunghe messe di liberazione, quasi tre ore, tenute da Padre Cataldo, prete esorcista tra i più richiesti in Sicilia e non solo. Lui, l’esorcista, accoglie tutti coloro che vengono a chiedere udienza, generando le critiche della perpetua poco paziente alle continue richieste dei disperati di turno. Quello di padre Cataldo è un amore puro e generoso nei confronti dell’umanità in difficoltà; crede sino in fondo nell’esercizio della sua pratica, offre ascolto e comprensione a chi è colpito dal maligno. Le sue competenze d’esorcista a volte sconfinano in quelle del terapeuta, dell’assistente sociale o di un caro amico che non si tira mai indietro.

Le numerose scene di esorcismo collettivo e privato mantengono un forte senso di pudore e rispetto nei confronti di chi coglie la presenza del divino nel mondo. Sono filmate quasi sempre da dietro, con il volto dei posseduti nascosto, o si soffermano di volta in volta sulle gambe che tremano, sui movimenti spasmodici dei corpi, sulle mani in tensione o i piedi che scalciano. Tutti dettagli che rimandano ai particolari degli affreschi e dei dipinti che riempiono le pareti delle chiese.

In alcune scene involontariamente esilaranti, padre Cataldo si mostra un uomo combattivo e dotato di un sottile senso dell’umorismo. La sua instancabile e indispensabile lotta contro il satanico, che va estirpato con pazienza e devozione, lo porta a concedere ai casi più difficili esorcismi telefonici, con auguri natalizi annessi a fine chiamata. Oppure si reca a liberare case infestate dal demonio, con spargimento di acqua e sale su mobili, oggetti preziosi o un dipinto raffigurante una madonna con bambino.

Chi lo avvicina è invece spinto da una disperazione profonda e senza nome; trova in lui una guida, una consolazione ai propri interrogativi. Per molti dei presenti, le messe di padre Cataldo sono momenti di autosuggestione collettiva. Ma il loro male è forse solamente il frutto di una società in crisi, che scambia e confonde il disagio per possessione.

Il giovane Enrico, ad esempio, che ha precedenti penali, in un dialogo con la fidanzata sintetizza l’essenza del film: quando la società non è in grado di curare una persona o di trovare risposte al suo disagio, si cerca rifugio in un luogo che riconosca quel male. Non è necessario essere credenti, certi fenomeni esistono nonostante tutto.

Liberami – su cui Federica Di Giacomo ha lavorato per ben tre anni – non è un film che parla di fede. Parla piuttosto di dipendenza mentale, di cosa siamo disposti a fare pur di liberarci dal male. Il paradosso, però, è che osserva l’esorcismo diventare una forma di assistenza sociale ai disagi del contemporaneo: un approdo cui spesso si arriva dopo un lunghissimo iter che passa attraverso psichiatri, maghi, rimedi alternativi, medici. Di fronte a questa emergenza la Chiesa organizza attraverso l’Ateneo Pontifico corsi di formazione per preti esorcisti, arrivando ad attivare call center in Sicilia e Lombardia, regioni più colpite dalla presenza di Satana. Sono i vescovi a nominare i preti esorcisti, i quali vedono le loro vite cambiare improvvisamente e sono così trasformati, loro malgrado, in moderni guaritori di anime perdute.

Liberami
Italia, 2016, 89 min
Titolo originale:
Liberami
Regia:
Federica Di Giacomo
Sceneggiatura:
Federica Di Giacomo
Fotografia:
Greta De Lazzaris
Montaggio:
Aline Hervé
Produzione:
Mir Cinematografica con Rai Cinema
Distribuzione:
I Wonder Pictures

Ogni anno sempre più persone chiamano "possessione" il loro malessere, in Italia, in Europa, nel mondo. La Chiesa risponde all'emergenza spirituale nominando un numero crescente di preti esorcisti ed organizzando corsi di formazione. Un film non sulla religione ma su come la religione può essere vissuta: fino a dove ognuno di noi, credente o meno, è disposto ad arrivare purché qualcuno riconosca il nostro male? Cosa siamo disposti a fare per essere liberati qui ed ora?

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