Alessandro Rossetto

Nordest, Italia

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C’erano una volta Signore e signori di Germi, il Veneto del boom, la borghesia democristiana benestante, il sesso fedifrago, l’ipocrisia condivisa, l’immagine squallida ma reale di un Paese. Oggi, quasi cinquant’anni dopo (allora era il 1965), c’è Piccola patria di Alessandro Rossetto. 

Quello del ricco nordest è un mito quasi decaduto, il Veneto non è più così benestante come un decennio fa, ma in compenso l’ossessione per il sesso, l’ipocrisia e la malignità sono ancora lì. In più ci sono gli immigrati, gli albanesi e i cinesi, gli adolescenti che con la loro fragilità e la loro superbia fanno girare il mondo e lo sguardo di un documentarista all’esordio nella fiction che prova a cogliere lo stato di una regione, e più in generale di un Paese, nei frammenti di una tragedia privata e collettiva.

Proprio in questo suo aspetto romanzesco, però, in quello che potrebbe essere il suo pregio maggiore (l’ambizione, cioè, di raccontare lo sfascio della borghesia italiana con una visione massimalista lontana dall’intimismo individuale), Piccola patria si ingarbuglia e disperde ogni sua pur interessante intenzione.

Il film è la storia di un ricatto sessuale, di un’amicizia interrotta fra due adolescenti, di un amore clandestino, di un odio razziale orrendo, di un assassinio sfiorato: troppa materia in ballo, insomma, troppa voglia di racchiudere l’anima puzzolente della società italiana lungo le statali assolate dei poli industriali, lungo i capannoni e le rotonde della geografia imprenditoriale, sperando che il quadro si tenga da sé o che l’ingorgo di elementi basti a costruire un film.

Rossetto ha un senso dello spazio notevole, filma la sua regione diventata orrenda e luccicante con riprese dall’alto stranianti e quasi spaventose, racchiude nella foga del suo sguardo un paesaggio umano devastato e un’Italia che è vera, quasi oscena, eppure stranamente sconosciuta e inedita.

La sua stessa foga, però, a forza di sudore, sporcizia, malignità, ignoranza, fragilità, improvvisazione, rabbia sfogata, accumula troppi elementi, smarrisce il film dietro mille rivoli di realtà, mette insieme Claire Denis e il saggio antropologico, la tragedia greca e il racconto di formazione, e ovviamente non ce la fa. Quello che si vede sullo schermo è allora un progetto forte ma abortito, sono i pezzi confusi di un puzzle rimasto per ora incompiuto.

 

Piccola patria
Italia, 2013, 111'
Titolo originale:
id.
Regia:
Alessandro Rossetto
Sceneggiatura:
Caterina Serra, Alessandro Rossetto, Maurizio Braucci
Fotografia:
Daniel Mazza
Montaggio:
Jacopo Quadri
Cast:
Maria Roveran, Vladimir Doda, Mirko Artuso, Diego Ribon, Lucia Mascino, Roberta Da Soller, Nicoletta Maragno
Produzione:
Arsenali Medicei, Jump Cut
Distribuzione:
Cinecittà Luce

Due ragazze, un’estate calda e soffocante, il desiderio di andare via da un piccolo paese di provincia. Luisa è piena di vita, disinibita, trasgressiva; Renata è oscura, arrabbiata, bisognosa d’amore. Le vite delle due giovani raccontano la storia di un ricatto, di un amore tradito, di una violenza subita: Luisa usa Bilal, il suo fidanzato albanese, Renata usa il corpo di Luisa per muovere i fili della propria vendetta. Entrambe vogliono lasciare la piccola comunità che le ha cresciute, tra feste di paese e raduni indipendentisti, famiglie sfinite e nuove generazioni di migranti presi di mira da chi si sente sempre minacciato. Luisa, Renata e Bilal rischieranno di perdersi, di perdere una parte preziosa di sé, di perdere chi amano, di perdere la vita.

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