Nicolas Bary

Pennac diventa un fumetto

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Difficile immaginare come Daniel Pennac abbia potuto approvare questa trasposizione cinematografica del suo esordio letterario, un romanzo fulminante, cinico, ricco di personaggi intelligenti e dialoghi al fulmicotone. Ma soprattutto, pervaso suo malgrado da un sentimento costante di profonda inquietudine, vivacità brillante condita di malessere.

D'altra parte, del film di Nicolas Bary, quello che stupisce non è certo l'inevitabile banalizzazione nella definizione dei personaggi e lo smorzamento fisiologico dell'arguzia delle battute rispetto al testo di partenza; quello che lo rende fastidioso, e azzera totalmente il potenziale di godibilità insito in una commedia del genere, è la sensazione di appiattimento colpevole, di dissanguamento di floridezza.

Trasformando il mondo di Pennac in un fumetto ammiccante, Bary fa dell'opera cinematografica la copia più colorata e paffutella del libro, eliminando in maniera radicale tutte le sfumature. I personaggi del mondo del Benjamin Malaussène cinematografico (una scelta furbetta quella di dargli il volto da simpatico folletto sognante di Raphaelle Personnaz, io che me lo immaginavo un coacervo di spigoli) hanno tutti la faccia che avrebbero se fossero figurine da collezione su un album anni '90, arrotondate di colore, riflesse nella loro plastica lucidità.

Inaspettatamente, l'unico personaggio che sfugge a questo delirio caricaturale è Stojil/Emir Kusturica, proprio per la sua essenza intrinsecamente extra diegetica, per la sua appartenenza riconoscibile ad un territorio che esula quello del romanzo e approda in quello della vita vera, o per lo meno, para cinematografica. Vederlo camminare in mezzo a un tessuto così caramelloso di detection fa assomigliare il suo personaggio, comunque nell'orizzonte dell'innocuo, ad uno degli eroi di un film di Aki Kaurismaki: tonto, disilluso e spaesato.

La sua figura melliflua, rassegnata e vagamente untuosa è l'unico elemento di inquietudine in un trionfo di mancato cinismo: ci si appassiona al suo sguardo che sa, ma che preferisce tacere, ai suoi movimenti a perdere e al suo andamento strisciante molto più che alle girandole amorose di Malaussène e “Zia Julia” (una più che professionale Bérénice Bejo).

Estirpando dall'opera di Pennac l'elemento del tragico e tutte le sue derivazioni, Bary uccide deliberatamente i miei ricordi di una lettura appassionante, e confonde lo spettatore, incuriosendolo e poi rassicurandolo, e finisce con il prospettare un to be continued il cui unico pregio potrebbe essere la maggiore presenza dell'attrice che si manifesta a sorpresa in chiusura, Isabelle Huppert.

 

 

Il paradiso degli orchi
Francia, 2013, 92'
Titolo originale:
Au bonheur des ogres
Regia:
Nicolas Bary
Sceneggiatura:
Jérôme Fansten, Serge Frydman, Nicolas Bary
Fotografia:
Patrick Duroux
Montaggio:
Véronique Lange
Cast:
Raphael Personnaz, Bérénice Bejo, Emir Kusturica, Guillaume De Tonquédec, Mélanie Bernier, Thierry Neuvic
Produzione:
Chapter 2, Pathé, Bidibul Productions
Distribuzione:
Koch Media

Tratto dal primo libro della fortunata saga di Monsieur Malaussène di Daniel Pennac, il film narra dello strampalato universo di Benjamin Malaussène: professione capro espiatorio presso i grandi magazzini di Parigi. Quando cominciano ad esplodere alcune bombe dentro il centro commerciale, Benjamin diventa il sospettato numero uno, e aiutato dai fratelli e dall'amata "zia Julie", dovrà per la prima volta scagionarsi e trovare il vero colpevole.

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