Danilo Caputo

Semina il vento

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Sarà un’impressione, che insorge da subito, nella prima scena di Semina il vento, ma l’atmosfera è quella di un horror. Con tanto di ulivi in luce in piena notte seguiti dalla macchina da presa che li scova a uno a uno. Del resto ne avrebbe tutte le ragioni Danilo Caputo, alla sua opera seconda, nel considerare un plot con al centro il virus killer che ha sterminato quantità irrecuperabili di olivi secolari in Puglia. Se poi il contesto di Semina il vento si allarga all’attività di inquinamento pluridecennale e nella sostanza incontrastata dello stabilimento siderurgico tarantino, e all’incuria o peggio all’azione criminale che sta trasformando la terra pugliese - ma non solo, essendo la parabola del film estendibile a ogni latitudine e longitudine del pianeta - ecco che la traccia orrorifica eccede l’impressione iniziale. E dilaga in tutto il film.

Semina il vento è dunque una parabola che fa davvero spavento, perché atterrisce quel che mostra normalmente, anche al bordo di inquadrature che sembrano quadri per la composizione e la cura cromatica. Gli alberi sono infatti creature sovrannaturali, data anche la loro longevità, che solo l’inciviltà umana, istituzionalizzata come la criminalità, teme e cerca di distruggere.

Dunque la protagonista, novella prescelta, congiura con questi esseri dalla corteccia e dall’anima in percolo. Visto L’albero del male? Bene, Semina il vento ne mantiene l’impianto e ne capovolge l'asse etico in termini di sostenibilità ambientale e culturale. Il paradigma degli horror tradizionali è dunque ribaltato: le entità arboree, di cui l’autore ci regala acute soggettive o ad esse si avvicina con movimenti suggestivi e inquietanti, sono la controparte buona del racconto. E Nica la loro “indemoniata”, che sin dal principio viene irretita e posseduta dall’ancestrale richiamo verso un mondo che sta scomparendo.

La civiltà contadina e con essa il culto della terra vengono difesi da questa curiosa ragazza “maledetta”, che coniuga scienza e antropologia, Jethro Tull (non la band rock) ed Ernesto De Martino. Nica, figliola prodiga, torna a casa dopo un disastro sentimentale e scopre cose terribili, ben peggiori delle relazioni di coppia. Come nel classico impianto dei film di genere. E si scontra caparbiamente con forze occulte, interne anche alla propria cerchia familiare, che rappresentano il Male al di là di ogni tradizionale modello di rappresentazione in voga.

Immaginiamo dunque L’esorcista, la tetralogia inaugurata da Il presagio, oppure Sentinel, Il signore del male e tanti esemplari cinematografici, dopodiché trasferiamo le stesse sensazioni su questa parabola “gotica” pugliese. Dove si spiegano i corvi che aggrediscono chi di dovere, come in Opera, non gli innocenti come ne Gli uccelli e La maledizione di Damien.

 

Se il tragico batterio della Xylella o l’operato fumoso dell’Ilva potevano mai trovare un corrispettivo cinematografico, ecco l’esempio di Semina il vento. Questo strano film poco realistico ma radicato nel profondo alla realtà, procede a sorpresa nell’unica direzione eccentrica ma sostenibile. Con tanto di richiamo al cinema in quanto tale grazie al tendone bianco ampio e rettangolare teso nel finale tra due ulivi. E all’insetto azzurro che ne buca la superficie.

Semina il vento
Italia, Francia, Grecia, 2020, 91'
Regia:
Danilo Caputo
Sceneggiatura:
Danilo Caputo, Milena Magnani
Fotografia:
Christos Karamanis
Montaggio:
Sylvie Gadmer
Musica:
Valerio Camporini F.
Cast:
Caterina Valente (II), Espedito Chionna, Feliciana Sibilano, Yile Yara Vianello
Produzione:
Jacques Bidou e Marianne Dumoulin (JBA Production), Paolo Benzi (Okta Film)
Distribuzione:
IWonders Pictures

Ambientato tra alberi d’olivo e scenari industriali del tarantino, il film racconta una storia di ribellione e rinascita, esplorando il conflitto tra due modi di pensare e sentire la natura: quello di Nica, ereditato dalla nonna, e quello di Demetrio, figlio di un progresso industriale che ha disatteso le sue promesse.

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