Michael Showalter

The Big Sick

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“Ciao, vi parlerò di me. Sono cresciuto in Pakistan. E le persone mi chiedono sempre: ‘come si stava, là?' Non troppo diversamente da qui, in realtà.” È così che Kumail, protagonista di The Big Sick, fa la sua comparsa. Si presenta al pubblico durante una stand-up comedy in un locale e al tempo stesso al pubblico davanti allo schermo, perché il Kumail del film è il vero Kumail Nanjani, attore comico e performer nato a Karachi e naturalizzato statunitense.

The Big Sick, scritto da Nahjani con la moglie Emily V. Gordon, e storia del loro amore, ha il merito di dare un tocco innovativo al genere trito e ritrito della commedia romantica. Se il rapporto tra Kumail ed Emily rientra nei canoni dell’incontro-scontro amoroso, il film ne è consapevole e lo dimostra, attingendo a piene mani dal repertorio e reinterpretandolo in chiave attuale. Lo stereotipo della famiglia che si oppone all’unione del figlio pakistano con una ragazza americana in nome delle radici etniche e religiose trova ad esempio una nuova ragione nell’autoironia e nella presa in giro di se stesso. La scenetta comica della madre che sera dopo sera invita a cena l’aspirante sposa di turno, perfetta incarnazione della brava moglie musulmana, ricalca la situazione già vista milioni di volte in cui la sventurata in età da marito è costretta a sorbirsi una serie di candidati sempre più improbabili. Il mio grosso grasso matrimonio greco insegna. Ma in The Big Sick l’imbarazzo della situazione è trasposto al maschile, ed è il figlio maschio a vedersi propinare un buon partito dopo l’altro. E c’è di più: una banale gag tipica del genere diventa in realtà una cosa seria, poiché, come dice Kumail, ciò che in America si definisce un “matrimonio combinato”, in Pakistan non è altro che un semplice matrimonio, e per giunta un matrimonio romantico. I suoi genitori vorrebbero davvero che lui si facesse crescere la barba e che sposasse una donna musulmana.

Lo scontro tra culture è ovviamente il fulcro del film. Kumail è orgoglioso delle sue origini, tanto orgoglioso da arrivare a cantare l’inno nazionale pakistano davanti alla platea del suo one-man show. Nondimeno, è americano e contento di esserlo. Mangia kulfi e chana masala insieme al fratello, ma ordina hamburger al formaggio al fast food. Comprende e parla correntemente la lingua urdu, ma se ne serve per conquistare le ragazze trascrivendo il loro nome in caratteri arabi su un tovagliolino da bar. Alle spalle ha millequattrocento anni di tradizioni che sarebbe impossibile, oltre che inutile, sradicare. Ma è qui, sotto questo conflitto così apertamente manifesto, che se ne nasconde un altro, ben più preoccupante. Lo spettro del terrorismo serpeggia quotidianamente nella vita di Kumail, abituato a respingere accuse e sospetti riservati a chi, per il fatto stesso di avere la carnagione olivastra e vivere negli Stati Uniti, è un richiamo immediato all’ISIS.

Alla base di tutto questo c’è una cosa soltanto: l’incomprensione. L’incomprensione tra il protagonista e la sua famiglia, che lo crede fedele all’Islam quando in realtà finge di pregare; l’incomprensione tra lui ed Emily, che non capisce il legame che lo vincola alle sue origini; l’incomprensione tra Kumail e i genitori di lei, che lo vedono come l’insensibile che ha piantato in asso la figlia; l’incomprensione, infine, tra chi arriva in un paese per inseguire l’American dream e si ritrova, per un automatismo ormai diffuso, ad essere annoverato tra i membri dello Stato Islamico. Un’unica, grande incomprensione. Come la malattia di Emily, una sindrome autoinfiammatoria molto rara per cui il corpo percepisce il tessuto sano come un’infezione e cerca di combatterlo: i medici la definiscono “un gigantesco, biologico misunderstanding”.

La soluzione però c’è, e Kumail la conosce bene. Il ragazzo risolve ogni conflitto con quello che sa fare meglio: far ridere. E nessuno meglio di lui, che fa il performer di professione, può dimostrare che la comicità è la vera medicina. Kumail scherza sempre, in continuazione, anche di fronte alla morte. E il suo trucco è semplice: non prendersi mai sul serio, saper ridere e far ridere per attenuare le differenze e superare i malintesi. Perché ridere è come amare, è qualcosa che ci riguarda tutti, indistintamente, qualcosa che va al di là di ogni definizione di genere e di razza. È l’unica vera dimostrazione che la convivenza tra culture può esistere, e talvolta può anche diventare amore.

The Big Sick
Usa, 2017, 120'
Titolo originale:
The Big Sick
Regia:
Michael Showalter
Sceneggiatura:
Emily Gordon, Kumail Nanjiani
Montaggio:
Robert Nassau
Cast:
Holly Hunter, Kumail Nanjiani, Ray Romano, Vella Lovell, Zoe Kazan
Produzione:
Apatow Productions, FilmNation Entertainment, Story Ink
Distribuzione:
Cinema srl.

Basato sulla vera storia degli sceneggiatori del film e coppia nella vita, Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani, il film racconta tutto ciò che l’aspirante comico pakistano Kumail (interpretato dallo stesso Kumail Nanjiani) e la sua fidanzata americana Emily (Zoe Kazan) hanno dovuto affrontare per superare i pregiudizi delle rispettive famiglie e 1.400 anni di antiche tradizioni.

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