Jeremy Gillespie, Steven Kostanski

The Void: il vuoto

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Conclusosi, o esauritosi che sia, il revival degli anni ’70, il trend del revisionismo cinematografico ha voltato pagina per confrontarsi con la decade immediatamente successiva. E così, in un gioco citazionista nostalgico e generazionale, volto al recupero degli stilemi del passato e alimentato dalla spinta propulsiva dei corsi e ricorsi tipici del genere, ecco tornati alla ribalta i patinati, sintetici – e da molti vituperati – anni ’80. Oggi, dopo che cineasti come Adam Wingard (The Guest), Ti West (The Innkeepers), David Robert Mitchell (It Follows) o i ragazzi di Turbo Kid hanno aperto la strada, rievocandone atmosfere e sensibilità, è Stranger Things a dettare le regole, quasi a imporre quella che sembra essere diventata l’unica chiave di reminescenza possibile di quel periodo. Però, se per molti gli anni ’80 rappresentano soprattutto l’adolescenza e le paure infantili filtrate da certi romanzi di Stephen King, l’innocenza dei Goonies o di Steven Spielberg, e il feticismo per oggettistica vintage quale BMX, arcade games e giochi di ruolo à la Dungeons & Dragons, c’è chi, al contrario, degli anni ’80, preferisce ricordare le mutazioni del body horror, l’irruzione dello splatter, e la sconcertante umanità – adulta e in balia di dolore e piacere – evocata da Clive Barker.

È in questa seconda corrente di recupero che si colloca un film come The Void - Il vuoto di Jeremy Gillespie e Steven Kostanski, apprezzati artisti del make up con all’attivo collaborazioni a progetti importanti come alcuni dei film più recenti di Guillermo del Toro (incluso The Shape of Water), It e Suicide Squad. I due, in verità, hanno già all’attivo altri due lungometraggi, Father’s Day (2011) e in particolare Manborg (2011). Se con Manborg, low budget cult, tra i primi esempi di questa new wave ad aver riportato all’attenzione generale l’immaginario Eighties, Gillespie e Kostanski si rifacevano in chiave farsesca alle produzioni sci-fi minori à la Albert Pyun, con The Void i due cineasti canadesi alzano il tiro. I riferimenti di questo inabissamento nell’orrore, infatti, sono, oltre a Barker (Hellraiser), le creature di John Carpenter (La cosa), le mutazioni di David Cronenberg (La mosca), l’altrove cosmogonico di Lovecraft e il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile, cantato da Lucio Fulci in L’Aldilà.

Ciò che funziona, anche a fronte delle ristrettezze economiche evidenti con cui Gillespie e Kostanski si sono dovuti confrontare, è l’immediatezza del racconto. The Void inizia in medias res, con la fuga da una catapecchia abbandonata e l’arrivo in un pronto soccorso fuori dal tempo (non esistono cellulari) e isolato da qualsiasi contesto urbano, dove si trovano a convergere alcuni personaggi. Da qui è una rapida e inesorabile discesa agli inferi con gli stessi personaggi  a servire come carne da macello. Dall’interno dell’edificio assistiamo all’incombere di una minaccia esterna, rappresentata da misteriosi ceffi incappucciati, idolatri di un culto la cui effige è un misterioso triangolo nero. È horror d’assedio, come nella lunga tradizione del new horror che da i prodromi di La notte dei morti viventi arriva fino al Signore del male. Dentro, intanto, si consumano orrori inenarrabili, con i personaggi che un po’ muoiono subito e un po’ vengono attirati verso le viscere dell’ospedale dove l’inizio di un nuovo ordine mondiale è in procinto di compiersi.

Il grande limite di The Void, purtroppo, sta nell’amalgama di tutto questo ricettacolo di riferimenti, materiale d’archivio che fatica a trovare una propria ragion d’essere al di fuori del programmatico lavoro citazionista messo in atto dai due registi, ma fine a se stesso. Si pensi, per esempio, a un film come Baskin (2015), anch’esso figlio degli anni ’80 e chissà come con molto di che spartire con il lavoro di Gillespie e Kostanski, sia in termini di struttura ed evoluzione del racconto, sia per ciò che concerne ambizioni e milieu culturale degli autori. Eppure, in quel film, la rielaborazione di un immaginario appartenente al passato era riuscita a produrre qualcosa di nuovo, perché in stretta comunicazione con la cultura e il tessuto sociale dell’attualità in cui il giovane Can Evrenol – turco peraltro – è immerso. Il problema di The Void, invece, e con esso di tanti altri tasselli appartenenti allo stesso filone – Stranger Things incluso –, è che si tratta di cinema archeologico, film che fingono di dialogare con il presente, ma si limitano a guardare e a riprodurre il passato, assecondando un loop autoreferenziale che non apre a nuovi orizzonti.

The Void: Il Vuoto
USA,UK,Canada, 2016, 90'
Titolo originale:
The Void
Regia:
Jeremy Gillespie, Steven Kostanski
Sceneggiatura:
Jeremy Gillespie, Steven Kostanski
Fotografia:
Sammy Inayeh
Montaggio:
Cam McLauchlin
Musica:
Blitz//Berlin, Joseph Murray, Lodewijk Vos, Menalon Music
Cast:
Aaron Poole, Amy Groening, Art Hindle, Betty Symington, Brad Storch, Chris Nash, Daniel Fathers, David Scott, Dennis Nicomede, Ellen Wong, Evan Stern, Grace Munro, James Millington, Janine Davies, Jason Detheridge, Kathleen Munroe, Keith Bowser, Kenneth Welsh, Mackenzie Sawyer, Mark Fisher, Matthew Kennedy, Michael J. Walsh, Mik Byskov, Sloane McLauchlin, Stephanie Belding, Trish Rainone, Troy James
Produzione:
Cave Painting Pictures, JoBro Productions & Film Finance
Distribuzione:
102 Distribution

Nel mezzo di un pattugliamento di routine, l’ufficiale Daniel Carter s’imbatte in una figura ricoperta di sangue che zoppica lungo un tratto di strada deserta. Si precipita in soccorso del giovane per portarlo rapidamente in un piccolo ospedale di provincia, gestito da un’equipe ridotta, solo per scoprire che i pazienti e il personale si stanno trasformando in qualcosa di inumano. Come l’orrore si intensifica, Carter conduce gli altri sopravvissuti in un viaggio infernale nelle profondità sotterranee dell’ospedale in un disperato tentativo di porre fine all’incubo prima che sia troppo tardi.

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