Terry Gilliam

The Zero Theorem di Terry Gilliam

film review top image

Qohen Leth è un geniale programmatore di computer che vive e opera in un futuro governato dalle multinazionali. Si divide tra i suoi turni di servizio e la casa-santuario in cui si rinchiude per sfuggire alle pressioni di un mondo che sente estraneo e pericoloso. Oscillando tra misantropia patologica e bisogno inconscio di calore, Qohen rischia di impazzire quando i suoi superiori gli affidano lo sviluppo di un progetto apparentemente impossibile da realizzare e che dovrebbe ridefinire lo scopo ultimo dell’esistenza.

Il cinema di Terry Gilliam assomiglia sempre di più a un mantra, a una concentrica variazione sul tema. I riverberi – teorici e stilistici – di Brazil sono palesi, ma nelle relazioni tra i personaggi e nelle loro psicologie s’intuiscono rimandi a L’esercito delle dodici scimmie e a La leggenda del Re Pescatore. Gilliam, oltre alla consapevole autocitazione, ha spinto il suo cinema verso un cortocircuito tematico che rende quasi circolare il suo corpus filmico fino a caratterizzare opere differenti come variabili di un’idea fissa.

Il senso di déjà vu riguarda sia le scenografie – che costruiscono un ipotetico vintage futuribile in bilico tra tecnologia e modernariato postindustriale – che le teorizzazioni su tempo, libertà, massificazione, dominio orwelliano del capitale. La messa in scena di Gilliam, che ha fatto dell’originale brillantezza un canone visivo, conserva la sua feroce ironia ma senza una rinnovata capacità interpretativa, come se tutto quello che c’era da dire fosse stato già detto.

Anche la fisiognomica dei personaggi è un rimando al passato: Christoph Waltz ripete i tic psicotici di Jonathan Pryce e sfoggia un cranio lucido come Bruce Willis. La differenza è forse nell’ostentata cupezza dello sguardo di Gilliam, che aggiunge al ghigno sarcastico delle sue inquadrature sghembe e deformate un senso di disperazione verso un presente/futuro sempre più disumano. Un’ombra di distacco fatalista che traspare già dalla scelta onomastica: Qohen Leth è un moderno Ecclesiaste (Qohèlet, appunto) che, come nel libro più filosofico e disincantato del Vecchio Testamento, s’interroga sulla vanità dell’universo senza trovare nessuna risposta certa.

The Zero Theorem - Tutto è vanità
Gb-Usa, 2013, 107'
Titolo originale:
The Zero Theorem
Regia:
Terry Gilliam
Sceneggiatura:
Pat Rushin
Fotografia:
Nicola Pecorini
Montaggio:
Mick Audsley
Musica:
George Fenton
Cast:
Christoph Waltz, David Thewlis, Matt Demon, Mélanie Thierry, Peter Stormare, Tilda Swinton
Produzione:
Voltage Pictures, Zanuck Independent
Distribuzione:
Minerva Pictures Group

In un futuristico mondo orwelliano in cui l’umanità è controllata dal potere delle corporazioni, Qohen è un genio del computer e lo sviluppatore più produttivo della Mancom, una corporazione diretta dall'ambigua figura che si fa chiamare Management. Qohen vive recluso all’interno di una ex cappella distrutta dalle fiamme; è eccentrico, solitario ed afflitto da angoscia esistenziale. A tenerlo in vita e dargli la forza di andare avanti è solo l'attesa di una fantomatica chiamata che gli indicherà il suo destino. Finalmente il misterioso Management accetta di parlare con Qohen, affidandogli la risoluzione dello Zero Theorem, un algoritmo impossibile sull'assurdità dell'esistente. Il suo lavoro e il suo isolamento sono a volte interrotti dalle visite della sensuale e vistosa Bainsley e dell’adolescente prodigio Bob, figlio di Management. Sarà grazie a una delle invenzioni di Bob che Qohen affronterà un viaggio all’interno delle dimensioni della sua anima, dove si nascondono le risposte che sia lui che Management stanno cercando per provare o confutare il Teorema Zero.

poster