Antoine Fuqua

Un cinema pieno di pugni

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Quante volte abbiamo letto o sentito l'espressione canzonatoria “Rocky e i suoi fratelli”? In un interminabile campionario di botte e fragore, condito preferibilmente di lacrime e sangue, nemmeno lo spettatore con più memoria potrebbe tenerne il conto. Anche perché, se ci si pensa, nessuno sport al cinema ha totalizzato un numero di pellicole tanto impressionante – tra capolavori e campioni al box office, imitazioni (apocrife o meno) e parodie – da essere superato, ma di pochissimo, solo dal baseball.

Non è un capolavoro, né un prodotto destinato a lasciare chissà quale traccia, Southpaw – L'ultima sfida, diretto dall'Antoine Fuqua artigiano dell'action blockbuster, autore di successi quali Training Day, King Arthur, Attacco al potere. Un mestierante cosciente di sapere il fatto proprio e, in una vicenda in cui il romanzesco concilia con l'agiografico, occhio abile in scene dove l'azione è elemento determinante (i combattimenti, ma non solo). Ma pure in segmenti tesi ad illustrare la rovinosa caduta del campione mondiale dei pesi medio-massimi, Billy “The Great” Hope (il cui cognome, "speranza", serba una studiata, allegorica scelta di campo), il suo progressivo declino e il conseguente degrado, la sua rabbia, la sua sete di vendetta e, prima di tutto ciò, l'improvvisa morte dell'amata moglie e compagna di orfanotrofio, Maureen-Rachel McAdams. E, ovviamente, negli episodi che fotografano il lento riscatto dell'uomo, sia fisico sia morale, il suo riaccostarsi alla figlioletta Leyla-Oona Laurence, la resa all'umiliazione per riacquistare la perduta dignità e, non meno eclatante, lo showdown conclusivo.

Faccia piena di pugni, occhio sinistro tumefatto, corpo marchiato dai troppi tatuaggi – ogni volta pronto a grondare sangue, soprattutto nei primi tre quarti d'ora di film – Billy-Jake Gyllenhaal è solo l'ultima figura ad aggiungersi a una già nutrita casistica. E se lo spettatore meno esigente si abbandona a uno spettacolo che di nuovo non concede granché, e addirittura sembra non volerne offrire, Southpaw presenta tutto quello che questo genere di confezione richiede, dalla retorica al sentimentalismo, dalla personale voglia di riscatto alla determinatezza, una volta recuperata, nell'andare sino in fondo.

Per chi legge, è talmente facile da sembrare forse offensivo il parallelo con la nota saga del boxeur di Filadelfia, anche lui un mancino, anche lui di modeste origini. Perchè Southpaw, da prodotto grossolano qual è – una "americanata", si sarebbe detto una volta – rientra nel giro di titoli che si contentano di pescare a piene mani dai prototipi, cercando la via più facile per la riuscita e il consenso di un pubblico senza molte pretese. Ecco dunque che una pesante provocazione da parte dello sfidante Miguel “Magic” Escobar-Miguel Gomez – causa-effetto della caduta e conseguente (auto)distruzione di Billy – innesca un intreccio che arriva pari pari dalla terza puntata di Rocky. Come al quinto episodio rimanda il delicato rapporto tra padre e figlia, con quest'ultima che non fa mancare appoggio e presenza nei momenti più difficili (la bambina assiste all'incontro finale del papà da uno schermo televisivo, proprio come la mitica Adriana).

Agli echi lampanti, accanto ai film di ambito pugilistico, si affiancano pellicole in cui la lotta è metafora di vita ed esame di coscienza: l'esempio più noto, tra i recenti, lo ha offerto l'Aronofsky di The Wrestler (in ambo i casi, a un certo punto la m.d.p. stringe sui rispettivi, sofferenti protagonisti al suono di un cardiopalma), e anche lì c'era un doloroso confronto tra un padre e una figlia. Pure, l'osservatore più attento rammenterà un altro titolo, Homeboy, sempre con Mickey Rourke caracollante pugile al tramonto, e prima ancora il vecchio classico diretto da King Vidor, tutto azione e buoni sentimenti, interpretato da Wallace Beery e a propria volta oggetto del lacrimoso, insostenibile remake firmato da Zeffirelli.

Southpaw, in sostanza, è l'ulteriore riproposta di una sfera arcinota, in cui poco di realmente nuovo è rimasto da aggiungere: il luogo comune è ingrediente così studiato a tavolino da indurre il sospetto dello studiato stratagemma. Ma quel che all'origine andrebbe riconosciuto è lo spudorato coraggio nel ripresentare cliché logori e vetusti di un cinema, nell'era del digitale e del 3D, ormai inadatto. E in materia di riferimenti, l'imponente presenza dell'allenatore sensei Tick-Forest Whitaker – proprio lui, “Bird” – non può non suonare aritmetica combinazione, di matrice eastwoodiana, del trainer Frankie Dunn e del coach semi-cieco “Scrap-Iron” (la storia della cecità di Tick, da questi raccontata a Billy davanti a un cicchetto, è la medesima di “Scrap”). Per tacere del benzinaio monco di Smoke (là si chiamava Cyrus, qui il nome è Titus), di cui Southpaw, tra le soffuse luci di una palestra, ripropone tale e quale la disperata confessione-sfogo, ancora motivata dalla scomparsa di un ragazzino.

La stessa dolente presa di coscienza del protagonista sa di luogo comune, benché il recupero, morale prima che fisico, scinda l'apologo in due contrapposte metà: da scheletrico spettro quale si incontra all'inizio, zombie aggressivo e brutale che antepone la forza al cervello riducendosi a un rottame inguardabile, Billy riacquista intelletto e maturità, anima e corpo, dopo aver toccato il fondo (del degrado, della solitudine) perdendo in un sol colpo quanto ha di più caro (moglie, manager, casa, figlia, rispetto di sé).

Fuqua, si diceva, è assai versatile nel seguire direzioni déjà vu che sembrano far sbagliare tiro al film, nelle quali tuttavia la tensione cresce palpitante: persino la breve parentesi di un Billy in preda ad alcol e droghe – pistola alla mano in cerca di un'impossibile vendetta, tanto per ricordare che il regista è il medesimo di The Equalizer è un topos che permette allo spettatore di mantenere desta l'attenzione.

Qualcuno ha osservato che l'onestà di fondo, in questo genere di operazioni, è tutta lì ed è meglio sorriderne. L'aggiornamento della formula risiede in fugaci colpi new age (preoccupata che il babbo non torna a casa, Leyla tenta d'inviargli sms che si stampigliano sullo schermo), senza che si sappia, o si voglia, rinunciare al sentimentalismo più ammiccante o al moralismo più sfacciato (sempre la bimba, affidata in un istituto, delusa dal genitore gli chiede d'interrogarla in spelling, e le parole, vedi caso, sono “disarmato” e “disperazione”). Le immagini da cartolina di una New York notturna o al tramonto sono la cintura di un emisfero che sempre più si stringe intorno al protagonista.

Chi scrive, in passato ha affermato che la cultura nordamericana si misura nell'aggiornamento di eroi e miti, cui peraltro pare incapace di rinunciare, prima che nei gusti del pubblico o nel mutamento di tempi e tendenze. Resta da vedere se e quanto lo spettatore odierno sia ancora disposto a seguire questo cinema tutto retorica, kitsch e ottimismo in un'epoca non più sua. Se si sta al gioco, si può pure chiudere un occhio senza dover rimpiangere titoli quali Il grande campione o Stasera ho vinto anch'io, Il sentiero della gloria o Passione. E, come dimostrava il Willem Dafoe di un altro (dimenticato) prodotto della lista, perfino andare – ovvero guardare – “oltre la vittoria.” 

Southpaw - L'ultima sfida
Stati Uniti, 2015, 124'
Titolo originale:
Southpaw
Regia:
Antoine Fuqua
Sceneggiatura:
Kurt Sutter
Montaggio:
John Refoua
Musica:
James Horner
Cast:
Jake Gyllenhaal, Rachel McAdams, Forest Whitaker, Oona Laurence, 50 Cent, Skylan Brooks, Naomie Harris, Victor Ortiz, Beau Knapp, Miguel Gomez, Dominic Colón, Jose Caraballo, Malcolm M. Mays, Aaron Quattrocchi, Lana Young, Danny Henriquez, Patsy Meck, Vito Grassi, Tony Weeks, Jimmy Lennon Jr., Charles Hoyes, Michelle Johnston, Patrick Jordan, Clare Foley, Mark Shrader, Rita Ora, Adam Kroloff, Cedric D. Jones, Jim Lampley, Rayco Saunders
Produzione:
Escape Artists, Fuqua Films, Riche Productions
Distribuzione:
01 Distirbution

Billy "The Great" Hope è un campione di boxe. E' un "southpaw", un pugile mancino, dallo stile aggressivo e brutale. E' all'apice della sua carriera, ha una moglie che adora, Maureen, e una figlia piccola. L'incontro con il suo rivale Miguel "Magic" Canto cambierà la sua vita per sempre. 

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