Jean-Marc Vallée

Un passo dietro l'altro

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Come sembra suggerire il suo cognome, Cheryl Strayed ha deviato da un certo percorso, si è allontanata da qualcosa, e per riprendersi la vera se stessa avverte di doversi mettere semplicemente e dolorosamente in cammino. Quei pezzi di sé che sente di dover amputare (e di questo la prima sequenza è metafora esplicita e raccapricciante) e quelle parti che invece vuole tornare a sentire sue, costituiscono il vero percorso che deve affrontare ed emergono a brandelli nel breve spazio di tempo che precede la partenza, ma soprattutto nei numerosi flashback, veloci e bruschi o lenti e narrativi, di cui si sostanzia il film con un non originale, ma comunque efficace gioco di montaggio.

Cheryl Strayed sarà la prima donna a percorrere il Sentiero delle creste del Pacifico, un itinerario escursionistico lungo più di 4 mila chilometri che va dal deserto del Mojave fino al confine tra U.S.A. e Canada, ma ancora non può saperlo quando, in un motel di quart'ordine, alla vigilia della partenza, non riesce nemmeno a sollevarsi da terra con il mostruoso zaino ricolmo di generi di prima necessità faticosamente issato sulle spalle; e non lo immagina nemmeno dopo i primi 100 mt di cammino, quando si ferma già stremata sentendo echeggiare il monito dell'amica: «Puoi smettere quando vuoi».

Persino allo spettatore, pur a conoscenza del fatto che l'impresa riuscirà, la cosa sembra inconcepibile: proprio non si capacita di come si possa procedere anche di un solo passo, sotto quel peso, in quell'arsura e con le scarpe strette.

Eppure si procede, si va avanti un passo dietro l'altro, incredibilmente, sentendo tutto il peso di quello zaino mastodontico, percependo la sofferenza fisica di Cheryl: il bruciore della pelle segnata dalle bretelle, le vesciche sanguinanti sui piedi, la sete e la fame nel momento in cui le scorte finiscono. Ed è proprio la sofferenza fisica percepita dallo spettatore insieme a Cheryl a fare del viaggio una via crucis e quindi un percorso di purificazione e redenzione in un road movie paradossalmente quasi indifferente al paesaggio.

Al film è stata infatti rimproverata l'assenza di attenzione ai panorami mozzafiato, ma qui non è la natura, l'osservazione di essa, o l'esserne fagocitati in un'estasi panica, come accadeva per esempio in Into The Wild di Sean Penn, a determinare la rinascita necessaria alla donna, piuttosto l'infliggersi la sofferenza fisica, l'autoflagellazione, l'andare 'nonostante', la mortificazione del corpo, il ridurre all'osso prima le vettovaglie e poi in qualche modo la propria femminilità (lavarsi sarà un lusso circoscritto alle pause in mezzo alla civiltà concesse dai camping incrociati lungo il percorso). Sono le incisioni sulla pelle e una sorta di masochismo a liberare, far rinascere, lasciare le scorie, i pezzi di sé che non si riconoscono più. Per questo ogni inquadratura è occupata dalla viaggiatrice: la macchina da presa le sta addosso inquadrandola a mezza figura o in piani medi, perché il suo corpo ci sia sempre, con le gambe perennemente tese nello sforzo di sostenere il cammino e il peso del necessario. Anche l'interpretazione asciutta della Witherspoon sembra rispondere alla necessità di automortificazione del personaggio.

Così gli incontri che punteggiano il viaggio, condotti sempre sul filo del rasoio dell'ambiguità (occasione di crescita interiore e conforto umano o reale pericolo?) giocano a rimpiattino con le persone del passato di Cheryl (l'ex marito, l'amica), assenze che pure l'accompagnano sempre con rare telefonate, lettere recapitate nei punti di ritiro merci, ma soprattutto ricordi, ai quali la donna accede attraverso il gioco piuttosto facile della sinestesia - udito, tatto, olfatto e vista fanno rivivere sensazioni legate a un passato recente di droga e sesso occasionale di cui Cheryl è diventata sbandata consumatrice dopo la morte dell'adorata madre.

E se in due inquadrature quasi surreali del film, il sangue di Cheryl, che sta per morire disidratata, impregna la parte superiore della sua tenda e, successivamente, il suo corpo è ricoperto da un nugolo di rane (come già le farfalle nel precedente film di Vallée, Dallas Buyers Club, un'altra storia, vitalissima, di un uomo solo che sta per morire), allora sembra proprio essere il personaggio, in tutta la sua fisicità e col carico della sua storia, a stagliarsi netto su un paesaggio, qualunque esso sia.

 

Wild
USA, 2014, 115'
Titolo originale:
id.
Regia:
Jean-Marc Vallée
Sceneggiatura:
Nick Hornby, Cheryl Strayed
Fotografia:
Fernand Belanger
Montaggio:
Martin Pensa, Jean-Marc Vallée
Musica:
Martin Pensa, Jean-Marc Vallée
Cast:
Reese Witherspoon, Laura Dern, Thomas Sadoski, Keene McRae, Michiel Huisman, W. Earl Brown, Gaby Hoffmann, Kevin Rankin, Brian Van Holt, Cliff De Young, Mo McRae, Will Cuddy, Leigh Parker, Nick Eversman, Ray Buckley, Randy Schulman, Cathryn de Prume, Kurt Conroyd, Ted deChatelet, Jeffree Newman, Lorraine Bahr, Jerry Carlton, Kevin Michael Moore, Debra Pralle, Gray Eubank, Anne Sorce, Charles Baker, J.D. Evermore, Beth Hall, Jan Hoag
Produzione:
: Fox Searchlight Pictures, Pacific Standard
Distribuzione:
20th Century Fox, : Fox Searchlight Pictures

Cheryl Strayed è una giovane donna che ha percorso oltre mille miglia lungo la pista di trekking del Pacific Crest per elaborare un grave lutto familiare e il naufragio del suo matrimonio, affrontando e sconfiggendo, in un viaggio pericoloso e solitario, i suoi demoni e le sue paure.

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