Álvaro Brechner

Una notte di 12 anni

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Dopo le riflessioni sul passato e il valore della memoria affrontate nelle commedie Bad Day to Go Fishing e Mr. Kaplan, con Una notte di 12 anni l’uruguayano Álvaro Brechner cambia registro, realizzando un dramma psicologico sugli anni di carcerazione del futuro presidente José Mujica e dei suo compagni Tupamaros, oppositori alla dittatura militare instauratosi nel Paese nel 1973.

È evidente l’intenzione del regista di sensibilizzare verso i rischi di derive totalitariste, alla luce della situazione politica internazionale e di un sempre più diffuso spirito nazionalista che sta emergendo oggi in diverse zone dell’Occidente democratico. Impossibile dunque non fare un parallelo con il recentissimo Santiago, Italia di Nanni Moretti, anch’esso improntato sulle conseguenze di una dittatura latinoamericana degli anni Settanta e sui pericoli delle attuali politiche nazionali, europee e non solo.

Ma se Moretti svincola il suo documentario dal patetismo dando rilievo al ruolo dell’Ambasciata italiana nella capitale cilena nel proteggere e tutelare i richiedenti asilo e del nostro Paese nell’accoglierli e integrarli, Brechner riprende lo stilema classico del genere carcerario. Il calvario dei detenuti che con fatica e dolore resistono alle angherie di malvagi carcerieri fino alla loro liberazione (Mujica e compagni, arrestati nel '73, saranno liberati nel 1985, con il ritorno della democrazia costituzionale e grazie a una contestata amnistia che comprendeva sia i guerriglieri sia i golpisti) è riproposto in Una notte di 12 anni con minime varianti (il poliziotto che chiede aiuto al prigioniero per scrivere lettere d’amore all’amata o la paradossale scena della latrina...), con la drammaticità degli eventi che assume un senso sempre più rilevante (a volte scontato) nel corso del film. Il racconto si fa così resoconto della prigionia e del lento deterioramento interiore delle vittime, sottoposte a forme di tortura non tanto fisiche quanto psichiche, che costringono a lottare contro se stessi e le proprie debolezze facendo affidamento solo al naturale spirito di sopravvivenza.

Di forte impatto sono le scelte stilistiche che Brechner compie per rappresentare la caotica condizione interiore dei protagonisti: contrasti cromatici, flashback e allucinazioni interrompono e confondono la linearità del racconto; frequenti movimenti di macchina circolari sottolineano la ripetitività delle azioni e accentuano la sensazione di chiusura associata ai detenuti. E di fronte a tutto questo, lo spettatore si fa osservatore inerte della angosciosa vicenda sullo schermo.

Solo la scena finale della scarcerazione vede un cambio di tono nella regia. Finalmente liberati dalle buie celle in cui sono stati reclusi per dodici anni, i prigionieri tornano nuovamente alla luce: una rinascita simbolica che non cancella le ferite interiori, doloroso lascito dell'oppressione di cui sono stati vittime prima e testimoni poi.

Una notte di 12 anni
Ungheria, Spagna, Argentina, Francia, Germani, 2018, 122'
Titolo originale:
La noche de 12 años
Regia:
Álvaro Brechner
Sceneggiatura:
Álvaro Brechner
Fotografia:
Carlos Catalan
Montaggio:
Irene Blecua, Nacho Ruiz Capillas
Musica:
Federico Jusid
Cast:
Antonio de la Torre, Chino Darín, Alfonso Tort, Soledad Villamil, César Troncoso, Mirella Pascual
Produzione:
Alcaravan Haddock Films, Hernández y Fernández Producciones Cinematográficas, Manny Films, Movistar + Salado Media Tornasol Films
Distribuzione:
Bim, Movies Inspired

Settembre 1973. L’Uruguay è sotto il controllo di una dittatura militare. Il movimento di guerriglia dei Tupamaros è stato schiacciato e smantellato da un anno. I suoi membri sono stati imprigionati e torturati.Un’infausta notte di autunno, nove prigionieri Tupamaro vengono portati via dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta che durerà 12 anni. Da quel momento in poi, verranno spostati, a rotazione, in diverse caserme sparse nel Paese e assoggettati a un macabro esperimento; una nuova forma di tortura mirata ad abbattere le loro capacità di resistenza psicologica. L’ordine dell’esercito è chiaro: “Visto che non possiamo ammazzarli, li condurremo alla pazzia.”Per oltre un decennio, i prigionieri resteranno in isolamento, in minuscole celle dove trascorreranno la maggior parte del tempo incappucciati, legati, in silenzio, privati di necessità fondamentali, denutriti, e i loro sensi saranno ridotti ai minimi termini.