CINEFORUM / 513

Scelte complicate

di Adriano Piccardi

 

<p style="\&quot;text-align:" justify;\"="">Di recente sono usciti in sala ben due film italiani dedicati ad altrettanti eventi storici (è ben il caso di dirlo anche del secondo e più vicino a noi: i fatti avvenuti a Genova nel luglio 2001 sono tutt’altro che mera “cronaca”, come pure mi è capitato di ascoltare da un commentatore televisivo) che hanno insanguinato il nostro Paese – entrambi sorretti da una perversa logica dell’“esempio” destinato a zittire qualsiasi forma di protesta o di indignazione sociali. È molto raro che il nostro cinema affronti fatti specifici e identificabili, per mostrarceli nel loro svolgersi, senza velature metaforiche o astrazioni allegoriche. E, per di più, secondo un approccio narrativo e rappresentativo che testimonia inequivocabilmente dell’esistenza di una personale idea di cinema dietro la trama delle inquadrature e del montaggio che le fa significare. Non intendo entrare nel coro dei dibattiti, delle polemiche, dei battibecchi, che hanno accompagnato l’uscita sia di Romanzo di una strage che di Diaz, sostenuti da motivazioni relative alla “fedeltà storica”, all’“evidenza delle responsabilità più alte” eccetera. Ho sempre apprezzato quei film in cui vengono messi in scena eventi e fatti storicamente riconoscibili per mostrare in realtà qualcosa che è dentro quei fatti anche se ne appare materialmente estraneo. Mi è sempre piaciuto trovare nei film la ricerca di una rilettura – anche azzardata, qualche volta spregiudicata – che testimoni la presenza di un’intelligenza al lavoro a partire dai dati concreti. E comunque la si pensi, è innegabile che Giordana e Vicari hanno lavorato in questa direzione. Altro cinema italiano nel book che in questo numero si occupa di produzione e distribuzione, chiamando direttamente in causa anche alcuni registi fra gli indipendenti più interessanti in circolazione, nonché una produttrice e un distributore da sempre operanti in questo settore. Un book con poca teoria, che si astiene il più possibile dal dissertare astrattamente su cause e concause di ciò che è, ma che offre alla lettura alcune esperienze concrete e pensieri che da quelle esperienze scaturiscono direttamente. Punti di vista soggettivi quanto si vuole, che proprio come tali si presentano: nell’intenzione di dare forma, grazie al loro accostamento, a un’immagine – comunque parziale, certo – dall’interno di un certo modo di intendere e praticare il cinema. La scena italiana non è asfittica né piattamente omologata nello sfruttamento compulsivo degli stereotipi (che ciò avvenga per conquistare la prima posizione al box office o rivendicando presunti percorsi controcorrente, non cambia la sostanza): a parte qualche illustrissima eccezione, il cinema che tiene banco nei media è proprio questo, ma il problema sta nelle difficoltà che rallentano oltremisura il processo realizzativo e l’impresa della circuitazione di quelle opere che realmente mostrano ciò che il nostro cinema potrebbe (e saprebbe) fare, se soltanto esistesse una predisposizione del sistema a sostenerne e valorizzarne la visibilità. Questione paludosa, si dirà; affermazioni donchisciottesche senza prospettive. Centinaia di raffinate analisi sono state già pubblicate, capaci di chiarire ogni singolo elemento (storico, economico, sociologico, culturale) di questo stallo. Proprio per questo motivo, «Cineforum» ha deciso per una volta di dare voce a chi comunque in questa situazione ci lavora: non per assegnare patenti di “benemerito” – medaglie ipocrite in ossequio alla permanenza dello status quo – ma per ascoltare cosa significhi fare cinema nel rispetto dei propri progetti e dei propri spettatori.