CINEFORUM / 523

Argomenti femminili

di Adriano Piccardi 

A un inizio d’anno denso e scoppiettante per quanto riguarda le uscite di nuovi film, che ha riempito di “speciali” i primi due numeri della rivista, sono succedute alcune settimane nel corso delle quali il livello medio dei titoli in uscita è per così dire rientrato nei termini della normalità. Non mancano certo un paio di film con i numeri giusti per mobilitare più degli altri attenzione e interesse: La scelta di Barbara, di Christian Petzold e Spring Breakers, di Harmony Korine. Si tratta di opere agli antipodi tra loro per argomenti e caratteristiche estetiche. Il primo, vincitore dell’Orso d’argento alla Berlinale 2012 e rappresentante ufficiale del cinema tedesco agli Oscar 2013, si muove nella sfera dell’etica intesa come difficoltà di compiere la scelta giusta in un contesto storico e politico soffocante, da qualsiasi punto di vista lo si consideri. Il registro è di conseguenza rigoroso, austero, di ascendenza classica. Di contro abbiamo le quattro ragazze californiane impegnate, secondo tradizione, a trovare se stesse in un viaggio rituale che, sradicandole dal loro contesto, le porta a confrontarsi con il lato oscuro dell’esistenza – provocando reazioni diverse e diversi comportamenti. Film provocante che, pur mostrando la sua intelligenza in alcune scelte di cast e di regia, resta forse un gradino sotto le sue intenzioni. O forse no. Un terzo titolo si impone comunque tra le recensioni di questo mese. Si tratta di Captive, di Brillante Mendoza. È il primo film di Mendoza a essere, in Italia, proiettato nel normale circuito commerciale. Il cineasta filippino è da tempo seguito e amato da molti: un “oggetto di culto”, come si dice, che però il pubblico normale – quello che ai festival non ci va e che pure è curioso di cinema – almeno nel nostro Paese non poteva permettersi su grande schermo. Al di là di accordi e disaccordi sul giudizio relativo al film, si è trattato dunque di un vero e proprio evento, a cui valeva la pena di concedere rilievo. L’elemento che accomuna tre film così diversi (e questi tre ad altri di cui nelle pagine di questo numero si tratta) è senza dubbio la funzione protagonista rivestita dal soggetto femminile. Non esattamente una coincidenza, o quantomeno una coincidenza in qualche modo guidata, se consideriamo l’alto numero di titoli, appunto, “al femminile” che si sono affollati sugli schermi in coincidenza dell’8 marzo o negli immediati dintorni. La giornata della donna promossa a pieni voti dal marketing cinematografico. Niente di male, per carità, anche se fa un po’ tristezza accorgersi della sfiducia evidentemente nutrita da parte dei distributori nei confronti di certi titoli – non certo recentissimi – che attendono proprio questa occasione per poter arrivare sul mercato. Oppure vedere come produzioni recenti siano pilotate nell’uscita esattamente su questa data, che ormai più tanto simbolica non deve essere, se viene considerata buona come semplice scaffale da cui pescare a proprio gusto. Ogni fascia potenziale di spettatrice è stata considerata, catalogata e rifornita del prodotto ritenuto giusto. Non si tratta di abbassare la mannaia del giudizio critico su questo o quest’altro film, quanto di prendere atto che l’occasione particolare ha mostrato nel modo più evidente – e in un certo senso illuminante – la struttura di mercato che sostiene (o vorrebbe sostenere) una distribuzione a prima vista spesso caotica e approssimativa. Tutto questo significa allora che il problema, in situazione “normale”, deriva forse dall’incapacità di dare al pubblico una fisionomia riconoscibile, un profilo che ne moduli le tipologie degli interessi e della ricettività, cui adeguare proficuamente l’offerta. La parvenza di oggettività frutto dell’abbinamento tra un’entità solo all’apparenza definibile (“femminile”) e un’occasione tra il rituale e il mondano, come ormai l’8 marzo di fatto viene declinato, semplifica certo le cose. Anche se questo comporta, talvolta, di rimanere un po’ scoperti sugli argomenti.