CINEFORUM / 524

Dove

di Adriano Piccardi

Sono importanti, i luoghi, per caricare di senso una storia, i suoi personaggi, per definirne i significati primi, secondi e terzi, anche quelli che non sempre lo spettatore arriverà a cogliere. Ma qualche volta sì. Anche quelli che non sempre la storia aveva preventivato, ma che poi finisce per ritrovarsi tra le mani. Illuminanti, sorprendenti. A volte imbarazzanti, anche. Il luogo cui la storia viene consegnata non può essere innocuo, e quando invece lo è, evidentemente qualcosa non ha funzionato nella messa a punto del congegno narrativo né potrà funzionare nella relazione tra questo e il suo destinatario. I film di cui si dice in questo numero non potrebbero essere ciò che sono senza i luoghi che li connotano e li guidano. Eccone qualcuno. Su re è la Sardegna, dove Michele Columbu ha trasposto la sua visione di un martirio celebre che finisce, proprio in virtù della dislocazione geografica, per non essere più soltanto quel martirio ma qualcosa d’altro. Di più. La città ideale trova il suo respiro e la sua cattiveria nella contrapposizione fra Siena e Palermo, senza la quale la storia di Michele Grassadonia non potrebbe avere lo stesso impatto, morale e drammaturgico. Il Trentino di Il volto di un’altra, così “finto” – da cartolina o da serie televisiva – eppure così “vero”, fa da insostituibile correlativo alla dialettica tra la bellezza artificiale su cui investire per ricavarne profitto e quella faticosamente recuperata “da dentro” (uguale e diversa insieme). Un giorno devi andare, poi, non avrebbe potuto essere fatto senza l’adesione fisica, esperienziale (apertamente dichiarata da Giorgio Diritti) alla terra brasiliana. Anche qui la ricerca di un completamento di senso è stata messa in opera attraverso la contrapposizione – forse un po’ troppo premeditata e reiterata – con un luogo (il Trentino, ancora) che ne costituisca l’antitesi geografica, climatica, sociale, spirituale. Nel suo Come pietra paziente, Atiq Rahimi mette in scena la parola femminile in un luogo (l’Afghanistan) dove la normalità sta nel ridurre le donne al silenzio di fronte all’uomo: la Donna (senza nome) rifiorisce nella parola che la consegna alla libertà del proprio corpo, a dispetto della polvere, dell’aridità e della violenza che caratterizzano il luogo teatro di guerra in cui vive. Ancora, se c’è un cuore oscuro in Tutto parla di te, dal quale Alina Marazzi voleva con ogni evidenza distillare il senso più profondo del suo film, questo si identifica con un luogo architettonico preciso: il centro di sostegno per le madri di Torino, la Casa del quartiere di San Salvario. E, da ultimo ma certo non per importanza, che dire del cinema di Chris Marker, protagonista del cineforumbook di questo numero… Un cinema letteralmente fatto della ricerca di luoghi. Un cinema che si è costruito e dichiarato nella dimensione del viaggio: Pechino, il Vietnam, Israele, la Siberia, Nord Corea, la Grecia, Okinawa, ma anche luoghi ancora più specifici: quelli dove si svolgono le lotte operaie – le fabbriche, le assemblee… In perenne movimento, tra finzione e documentario Marker ha saputo ritagliarsi un luogo narrativo personalissimo, su misura, fatto di possibilità e di invenzioni, riuscendo nella sua opera a riconsegnare il cinema a una missione che non fosse esattamente quella di illustrare pedissequamente delle storie. E se il suo obiettivo è quello di lavorare «con le immagini dentro le immagini», come dice Bianchi nella sua introduzione, allora le immagini sono a loro volta luoghi, fuori dai quali quel cinema non avrebbe potuto trovare la sua strada.