CINEFORUM / 526

Il canone e il fantasma

di Adriano Piccardi

«La bellezza sta nell’occhio di chi guarda», viene detto nel film di Leos Carax. Ma può anche essere che, come rivela Frenhofer in Le chef-d’œuvre inconnu di Honoré de Balzac: «Vous dessinez une femme mais vous ne la voyez pas». La vista è, che ne siamo consapevoli o no, tra i nostri cinque sensi quello che più ha a che fare con la faccenda della bellezza. Anche quando il punto di partenza sia l’udito: ché i suoni prodotti dalla musica sinesteticamente costruiscono immagini nell’orecchio di chi ascolta.

Che ci si muova in una direzione piuttosto che in un’altra. Che si esprimano convinzioni differenti sui fattori necessari a formularne il concetto e l’aspetto. Che ci si mostri, in questa appassionata tenzone, apocalittici o ingannevolmente scettici. In ogni caso, non si è altro che attori di una rappresentazione inesauribile per definizione, legata com’è a variabili culturali, collettive e individuali, per nostra fortuna destinate tutte a una ibridazione continua, a un processo metamorfico dalla cui vitalità dipende comunque quella dell’autocoscienza di una intera civiltà.

Presi in mezzo tra il fantasma della bellezza che ci chiama dalla superficie/schermo del mondo e la forza medianica del dispositivo capace di forzare le serrature dello sguardo e mostrarci quel fantasma in tutta la sua potenza (in qualsivoglia forma si manifesti), ci stiamo noi, gli spettatori, consapevoli o a volte colti di sorpresa da tanto splendore come da una rivelazione sconcertante. Esposti a tanta luce si può anche soccombere, ma in sua assenza il sonno ci accoglie donandoci (forse) il riscatto di un sogno privato: chiudere gli occhi, duplicare un’assenza con un’altra – la nostra – per capovolgere la passività in desiderio.

 

<p style="\&quot;text-align:" justify;\"="" lang="\&quot;it-IT\&quot;">Il lavoro di «Cineforum» – come sempre, del resto – sarà anche questa volta quello di offrire, all’incrocio degli anatemi e degli osanna, argomentazioni critiche alle quali i suoi lettori/spettatori possano confrontare le proprie. E orientare la propria personale ricerca della bellezza: non nella convinzione di aver una volta per tutte conseguito il premio o di essere stati beffardamente precipitati in un pozzo senza uscita, ma con la consapevolezza di poter così continuare a partecipare attivamente alla costruzione dei diversi significati che in quelle opere si rincorrono e ci pro-vocano.