CINEFORUM / 531

Stop the pounding heart

di Pier Maria Bocchi

È ormai agli atti che il film di Robert Altman sia una pietra angolare del cinema statunitense degli anni Settanta: il ritratto del Sud e, più ampiamente, degli usa (che i fan della country-western music magari non apprezzeranno, come disse beffardo lo stesso regista in un’intervista televisiva dell’epoca) senza il quale ora sarebbe difficile tracciare quella Storia. Eppure il testo della canzone che chiude una Babilonia di debolezze e pochissime virtù da lasciare ancora adesso attoniti, risulta ambiguo nella celebrazione di uno spirito indomito e indipendente. Perché se è evidente che le parole lascino trasparire un’ironia da rigor mortis, alla luce di un sociale e di una politica in frantumi, è innegabile che si tratti di un inno “dal basso” alla capacità dell’uomo di rialzarsi, di mantenere la testa alta nella catastrofe, con spavalderia e arroganza (benché non si possa sottovalutare il contesto storico di attacco frontale generazionale a un establishment che si fece le ossa per buona parte sulle ossa dei morti). It don’t worry me. È significativa la reazione immediata dal palco della star del country Haven Hamilton, che prende il microfono e esorta tutti a cantare: «This isn’t Dallas, it’s Nashiville. This is Nashville, you show ’em what we’re made of. They can’t do this to us here in Nashville». Considerando il ruolo del film nel cinema hollywoodiano, ciò è abbastanza inquietante. Quello di Altman fu il nuovo Nascita di una Nazione, ancor più tragico e rilevante anche a ragione di questo “equivoco” conclusivo: e che un simile new-new world sbocciasse dalla terra del Sud, era e rimane emblematico.
C’è però una differenza determinante fra l’intento che fu di Altman e quello contemporaneo (tutt’altro che fuori dal tempo, come potrebbe apparire superficialmente la comunità texana protagonista) di Minervini. Se Nashville fotografava un’America che dal baratro stava uscendo ma che nel baratro stava rientrando, senza che se ne accorgesse, Stop the Pounding Heart lavora di dettagli e di pause, di lunghezze e di silenzi per dichiarare una vita, non una morte; per celebrare un movimento, non una stasi. Quest’America è in piena attività: a Nashville il caleidoscopio di suoni e di persone fungeva sarcasticamente da benedizione funerea; qui, nel Texas, in mezzo a roulotte parcheggiate sull’erba, latte fatto in casa e venduto nei mercatini e ribellioni mute ma non per questo meno urgenti, è viva una società ed è vivo un Paese. Ed è da qui, dal Texas, da un Sud così vituperato e spesso rimosso, che il Paese potrebbe ricominciare. Alla larga da qualunque retorica del white trash e della redneck no-culture, Minervini osserva senza mai giudicare; e non ha neanche l’ingenuità di proporre alternative, di augurare un futuro migliore, di sperare in luoghi più belli. Ecco perché Stop the Pounding Heart è così commovente: perché dall’umiltà, dal basso (il South!), propone una ricostruzione, il ritocco a un Paese malato. Senza rivoluzioni, senza sommosse popolari: solo guardare, e ascoltare, per credere (per crederci). Guardare questo piccolo mondo, ascoltarlo, saperne cogliere le mosse e le piegature, lasciarlo lavorare, fermarne il cuore pulsante di ansia e di angoscia per permettergli di battere con regolarità e serenità.
Preoccupazioni? Quelle della vita, le consuete, poche altre. Non c’è un termine di paragone che implichi una proporzione fra migliore e peggiore: la comunità di Stop the Pounding Heart non sogna la ricchezza, come Minervini peraltro non si sogna affatto di fare l’elogio della povertà. L’ambiguità dello sfogo corale finale di Nashville potrebbe trovare qui un significato diverso e più pacificato. Nei confini di questa realtà non ci sono un’economia in crisi o il pane dal prezzo salato a permettere una risposta “incosciente”, it don’t worry me. Non si tratta di disinteresse per le cose del mondo, né tantomeno di ignorarle: l’economia di un Paese è rivelata e educata anche dalle persone e dallo sguardo che esse mantengono nei confronti del Paese stesso; non riesco a fare a meno di vedere nella realtà di Stop the Pounding Heart una concretezza forse non autosufficiente, però sufficiente a creare una nuova base. Mi piace pensare che Sara e Colby, fra gli altri, possano vestire i panni dei nostri nuovi padri. Minervini sembra andarne fiero, ma non lo dà a vedere. E questo è uno dei pregi di una visione del mondo antropocentrica che ripone nell’uomo ogni bene. A dispetto di Dio, Bibbia e ogni cinismo di cui ci siamo premurati di circondarci.