CINEFORUM / 541

Uomini e cani

In Adieu au langage e in American Sniper è il cane che fa la differenza. Cani domestici, lupi, cani pastori, non importa. Almeno in una certa misura. Ciò che importa è cosa vedono del mondo. Come lo vedono, anche. Nel film di Godard una frase prova a darci la dritta giusta, a definire le coordinate: «Non è l’animale che è cieco / ma l’uomo, accecato dalla coscienza / è incapace di guardare il mondo». La coscienza, che cos’è? Gli umani sono dotati di pensiero, ma la capacità di pensare (dunque la coscienza) è sempre il risultato di una e/ducazione: siamo, dunque pensiamo. E quando guardiamo la porzione di realtà che ci sta attorno, che ci ri-guarda, ciò che vediamo è innanzitutto una costruzione percettiva predisposta dalle modalità da cui la nostra coscienza è fatalmente guidata. Del mondo che è l’oggetto del nostro sguardo e il nostro controcampo, tendiamo a vedere inevitabilmente soltanto le tracce che ci confermano significati e funzioni caricati dentro di noi da qualcuno o qualcosa.
Un cane, invece, aderisce alla propria visione delle cose senza passare attraverso il filtro della coscienza. Non sa di guardare, dunque vede. Certo, parlando di cani pastori, sarebbe meglio andarci piano, la questione si fa più complicata: il fattore-educazione, che credevamo cacciato dalla porta, è già rientrato dalla finestra. Che cosa vedrà davvero un (buon) cane pastore di ciò che guarda aggirandosi intorno al gregge affidato alla sua sorveglianza? Le cose si complicano ulteriormente se si passa alla sfera metaforica: un lupo è un lupo è un lupo, ma se il lupo è metafora di un certo comportamento umano, colui che indichiamo come lupo potrebbe essere (e a determinate condizioni lo è, in effetti) il cane pastore di un altro gregge, se potessimo assumere compiutamente la prospettiva del controcampo che ci ri-guarda. Brutta faccenda. Ce n’è abbastanza per confondere qualsiasi cane pastore che voglia cercare di vederci più chiaro: la vista improvvisamente può non aiutarlo più, troppe interferenze, un gran polverone… i riferimenti dati per scontati un attimo prima si confondono, inevitabilmente.
La generosità di un artista, dunque anche di chi si assume la responsabilità finale di firmare un film, sta tutta nel dare libertà all’occhio (al pensiero) di chi guarda. Come ogni atto di generosità, è ovviamente una scelta spericolata. Ci sono registi che ne hanno fatto una regola quasi monastica: Godard, Eastwood, la praticano da sempre. Per loro, l’espressione “gli occhi sono lo specchio dell’anima” non va letta a senso unico, voyeuristico, ma come possibilità affidata allo spettatore di uno sguardo di ritorno, interrogativo e interpretativo – inevitabilmente fondato sugli input incorporati nella sua coscienza ma anche sulla dialettica che è capace di instaurare con essi. Esperienze, informazioni, provvidenziali inquietudini morali e intellettuali possono produrre aperture di senso. I nostri due, dispettosamente, ci credono. Così come dimostra di crederci David Fincher, incastonando il suo Gone Girl, in quella coppia di primi piani di Rosamund Pike, così uguali e così diversi.