CINEFORUM / 545

L’amore al tempo dell’apocalisse

La spiaggia, le foreste e i laghi dell’Aquitania, l’estate, i turbamenti del cuore. Un lungometraggio d’esordio curioso, questo di Thomas Cailley. L’avvio del racconto, di un nitore e di una levità sorprendenti, si muove all’interno delle convenzioni drammatiche del cinema di genere. Il ricordo va alle pellicole adolescenziali e provinciali di Pascal Thomas degli anni Settanta. Anche qui, come nella tradizione della pura commedia romantica, l’intrigo amoroso assume, a tutta prima, le forme di un conflitto all’apparenza insanabile. I due protagonisti – due ragazzi poco più che adolescenti – sono diversi tra di loro per temperamento, aspirazioni, interessi, condizione sociale. La si direbbe una coppia assai male assortita, il cui rapporto, peraltro, prevede il capovolgimento degli abituali ruoli sessuali. Qui è il femminile che si presenta come l’elemento dominante, capace di entrare con autorità in un mondo maschile pavido e irresoluto: è Madeleine, con quei suoi modi scostanti da maschiaccia impertinente, a gestire il gioco – che non è ancora, si badi bene, gioco di seduzione: il rapporto tra i due tende a escludere al momento ogni implicazione erotica (benché la libido sia ben presente) (1). Lui, che ha qualcosa del verginello, ne rimane subito soggiogato. Ma, impedito a esprimere la propria virilità, si limita a seguire docilmente da presso l’oggetto dei suoi desideri, assecondandone con pazienza i capricci e le ubbie, lasciandosi a poco a poco contaminare da quelle sue visioni apocalittiche. Si sa, le personalità opposte sono destinate fatalmente ad attrarsi e a trovare un punto d’incontro, dopo aver superato ostacoli e impedimenti. Vero è che, nelle fasi iniziali del film, se Arnaud viene ammaliato dalla determinazione granitica di lei, Madeleine, ripiegata com’è sulle proprie ossessioni, si dimostra incapace di apertura verso l’altro (che non esiste, ai suoi occhi, se non in funzione della missione che si è imposta di compiere).

Maschile, femminile

La pellicola sceglie di adottare il punto di vista maschile di Arnaud (e del suo autore). Il ragazzo vive il disorientamento di chi, dopo la morte del padre, appare ancora incerto sul senso da dare alla propria esistenza. L’incontro con Madeleine gli offrirà l’occasione di sottrarsi a una quotidianità indolente e mediocre (il lavoro nella piccola impresa familiare di falegnameria a cui egli si dedica di malavoglia, e da cui la madre aveva già tentato di distoglierlo). Arnaud sceglierà allora di obbedire agli impulsi del cuore, anche a costo di deludere il fratello, una figura di giudizioso buon senso che faceva affidamento su di lui per mandare avanti l’azienda. Accogliendo il richiamo dell’avventura, Arnaud avvierà un percorso di maturazione interiore che gli consentirà di scuotersi dalla propria apatia, acquisire sicurezza in se stesso e diventare un “combattente”. Il ritratto di Madeleine (a cui una magnifica Adèle Haenel conferisce una nervosa e brutale sensualità) è venato di un’ironia sottile e sorridente. Singolare miscuglio di caparbia risolutezza (si pensi al colloquio a tavola con il fratello di Arnaud, dove lei, dopo aver deriso gli studi di macroeconomia a cui si era dedicata in passato, insiste sulla necessità di allenare il corpo e lo spirito per prepararsi alle catastrofi ecologiche che verranno presto a sconvolgere il pianeta) e fragilità femminile (l’episodio del cane), Madeleine è un personaggio in perenne movimento, divorato da una frenesia tormentosa che non trova requie. Nella sua ossessione per le più cupe profezie sulla fine dei tempi c’è qualcosa di esaltato e maniacale, dietro cui s’intuiscono inquietudini e angosce più intime: non già, come pure si è scritto, le paure legate alle disfunzioni sociali della vita moderna così come sono percepite da una generazione confusa e senza prospettive, segnata dalla crisi economica (a ogni buon conto, la famiglia di Madeleine è una famiglia benestante, con tanto di villa con piscina), bensì il malessere esistenziale di un’età priva di punti di riferimento, che fatica ancora ad accedere a un’identità adulta. Andare incontro all’avventura, per Madeleine, significa allora compiere un laborioso itinerario di crescita e di evoluzione – dalla scelta della solitudine alla condivisione di un’esperienza formativa, all’intimità di una relazione passionale –, lo stesso che le permetterà di dare una svolta decisiva alla propria vita e diventare un’altra persona. Ribelle a ogni costrizione, Madeleine non potrà che restare delusa dall’esperienza dell’addestramento nel campo estivo dell’esercito, dove avvertirà lo scarto tra i valori di abnegazione, spirito di sacrificio, cameratismo imposti dalla disciplina militare e le proprie fantasie malate, tese a concepire la lotta per la sopravvivenza come lotta per la salvaguardia di sé nel recupero delle difese narcisistiche, ovvero come una sfida individuale, solitaria, che non ammette mediazioni né compromessi (le merendine e i budini che la ragazza rifiuta di mangiare a colazione, lei abituata a mandar giù disgustosi intrugli a base di pesce crudo). Per contro, il ritorno allo stato di natura e l’isolamento radicale dal mondo esterno costringeranno l’eroina a mettere in discussione il suo rigido mondo mentale e a sperimentare un modo nuovo di relazionarsi con il maschile (il che non significa, ovviamente, un ritorno all’ordine stabilito e ai ruoli tradizionali). Nel fitto di una foresta incantata e incontaminata, spazio transazionale di evoluzione e trasformazione che i due ragazzi vivranno come un luogo ludico e libertario, capace di riattivare l’onnipotenza infantile, Madeleine potrà condurre a compimento la propria affannosa quête arrivando a comprendere come la sopravvivenza possa passare attraverso il rapporto solidale, l’aiuto reciproco, l’amore.

Sconfinamenti

Nella sua salda calibratura narrativa, il film esibisce una partizione complessa, articolata su quattro capitoli distinti, più un epilogo: una cronologia frantumata che segue da presso le diverse tappe del romanzo di formazione dei due protagonisti. Se il primo tempo (l’incontro) è inscritto a pieno titolo in un quadro classico di commedia sentimentale, i capitoli successivi (l’addestramento militare, il ritorno alla natura, l’apocalisse) conoscono inopinate deviazioni, svolte, sbandamenti inattesi. La pellicola, giocando sui contrasti e le rotture di ritmo, si addentra audacemente in territori incogniti e generi differenti, passando dalla commedia al film avventuroso, dalla favola al disaster movie, senza tuttavia che il racconto rischi mai di slabbrarsi o di smarrirsi (il lavoro di messa in scena sa essere agile e insieme limpido, preciso, privo di sbavature). Allo stesso tempo, l’acuminata leggerezza della parte iniziale arriva a virare su coloriture e tonalità altre, ricorrendo a un buffonesco segnato da spunti di umorismo sghembo (le scene nel campo militare), ovvero a una tensione crescente che, nel capitolo conclusivo, assume risonanze sinistre (la sequenza dell’attraversamento del villaggio abbandonato, con quella pioggia di cenere che scende all’improvviso dal cielo, possiede una sua fosca forza spettacolare). Prima di ciò (e prima del finale sospeso, governato da un sapiente anticlimax), il racconto si consente una pausa idilliaca, un’immersione purificatrice nella natura selvaggia (2), dove il calore del paesaggio silvestre e la freschezza di quei corpi adolescenziali che si aprono infine al desiderio, trovano accenti di lirica, renoiriana sensualità.

 

(1) L’immagine di donna guerriera offerto da Madeleine non implica affatto, come notava bene Marc Midan su «Libération», una vocazione castratrice e repressiva verso l’altro sesso. (2) Lo scenario naturale, bagnato da una calda luce dorata (l’arancione e il verde come tinte dominanti), non presenta venature mistiche e trascendenti alla maniera di un Malick, ma sembra respirare all’unisono con le vibrazioni dei personaggi. La fotografia è di David Cailley, fratello del regista.