CINEFORUM / 546

Mu

A volte succede. È difficile da credere, ma può succedere. Che un cavaliere (un distributore cinematografico) senza paura si addentri nella terra desolata dell’estate (della “stagione” estiva), sprezzante del rischio cui si espone, innalzando come propria insegna il nome di un regista giapponese, dei cui film non pochi parlano senza averli in realtà mai visti. E che dietro quest’insegna porti con sé un programma di ben sei titoli da mostrare finalmente, in copia restaurata e smagliante, sugli schermi di alcune sale cinematografiche al pubblico dei devoti che finalmente potranno così dire «Sì, Ozu esiste e io l’ho visto». Chiedo scusa per l’ironia, priva di ogni malevolenza. Ci mancherebbe. Dei devoti faccio parte anch’io: uno dei ricordi più folgoranti della mia frequentazione di schermi cinematografici mi riporta all’estate del 1979, al Festival di Locarno che quell’anno dedicò a Ozu Yasujiro, per la prima volta in Europa, una retrospettiva; giovane cinefilo (absit iniuria…), ogni mattina mi recavo alla proiezione in compagnia di mia moglie Lia e quelle visioni si trasformarono rapidamente in una sorta di rito, officiato quotidianamente per noi e per pochi altri spettatori, tra i quali riconobbi subito Jean-Luc Godard come uno dei più assidui. ?D’altra parte, l’interesse di «Cineforum» per Ozu è fuori discussione. A chi se lo sia lasciato sfuggire ricordo il book che gli abbiamo dedicato due anni fa, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua scomparsa («Cineforum» n. 530, dicembre 2013); anche a quel book ha partecipato Dario Tomasi, che sulle pagine di questo numero ci presenta una “lettura per parole e immagini di Tardo autunno”: film scelto – con quale difficoltà è facile immaginare, dato il profilo altissimo di tutta la sua cinematografia – tra i più rappresentativi dell’opus del Maestro. È difficile trovare un cineasta che con altrettanta pietas e consapevolezza estetica abbia lavorato ininterrottamente, implacabile, nell’arco della sua produzione sul tema circoscritto dei rapporti familiari per farvi emergere in filigrana tutto lo strazio collegato al tramonto di una civiltà e dei suoi valori più profondi. Nella pietra squadrata che campeggia sulla sua tomba Ozu ha voluto che fosse inciso l’ideogramma di una parola-cardine del pensiero zen: “mu”. Nulla. Vuoto. Non ho nessuna intenzione di didascaleggiare sulla differenza del concetto di “nulla” nella cultura orientale rispetto a quella occidentale. Ma quell’idea di essere che è insieme non essere e che sfugge a ogni domanda metafisica sul significato e sul perché è davvero la cifra che ci introduce alla peculiarità dello sguardo lieve e sorridente con cui Ozu ha contemplato e voluto mostrare il trascolorare di un mondo. E, ancora di più, almeno per me, non potrebbe esserci simbolo più pertinente per indicare quella misteriosa “sostanza” fatta di presenza/assenza di cui le immagini cinematografiche sono fatte.