CINEFORUM / 551

Sauve qui peut

Che la bellezza non salverà il mondo lo sappiamo. Forse per questo è ancora più struggente la decisione di due persone che scelgono di collaborare, a dispetto dei rispettivi ruoli (il conquistatore e lo “sconfitto”), per salvare tutta la bellezza del Louvre, per evitare che vada dispersa e forse persa, chissà dove. Una parte non indifferente della forza di Francofonia sta proprio nella ricostruzione di questa alleanza disinteressata (e votata, peraltro, all’oblio di quanti, poi, avrebbero continuato a gioire dei suoi risultati, negli anni successivi, come di un regalo in qualche modo dovuto: struggente, dunque, ma anche istruttivo). Il tema della salvezza sembra attraversare questo numero di «Cineforum», come un raggio di luce che accentua le zone d’ombra in una stanza. Due donne la cercano nell’amore che la società in cui vivono considera come inaccettabile perversione. Tre sorelle accolgono nella loro casa la sorellastra minore, offrendole il calore di un’amicizia che va ben oltre la condivisione di un padre ormai morto e permette alla ragazzina di affrontare il tormento di sentirsi il frutto di un amore che anni prima ha fatto sciogliere una famiglia. Un avvocato americano si ritrova a difendere una spia sovietica dal destino segnato: non solo la salva dalla sedia elettrica, ma, acquisendo passo dopo passo la sicurezza che gli permetterà di districarsi nell’intrigo internazionale cresciutogli intorno, finirà per ricondurre alle rispettive Patrie non uno ma tre individui. Un adolescente senza altri numeri da giocare se non la sua scorbutica ironia non salverà la ragazza di cui è stato costretto a diventare amico, ma in compenso, grazie a lei, riacciufferà la propria vita e il rispetto di sé. Ugualmente, un manipolatore di persone, manipolato dal sistema che crede di controllare, trova una via d’uscita nel fallimento cui si lascia andare come in una deriva. E la moglie di Dio tutti sembra salvarci grazie a un colpo di scena e di stato portato a termine con la souplesse e il tempismo che soltanto i veri poveri di spirito, a loro stessa insaputa, possono esibire. Che cos’è dunque questo bisogno che si alza a volte come un grido, a volte solo un sussurro, e accomuna in un coro solidale uomini e donne di ogni età, ceto, contesto? Tutti questi film si fanno portavoce di un’angoscia che ha a che fare sicuramente con la consapevolezza del Leviatano che ci segue; angoscia metabolizzata nei modi più diversi eppure sempre riconoscibile. Anche quando c’è chi prova a prenderla per le corna trasformandosi in un angelo vendicatore di provincia, portando poi le conseguenze del suo gesto alla conclusione più grottesca. E inevitabile. Nessuno è un angelo, e chi conosce il cinema lo sa: non ci ha già pensato Hitchcock a mettere in chiaro che tutti abbiamo una colpa da nascondere, soprattutto gli innocenti?