CINEFORUM / 558

Escobar

Escobar di Andrea Di Stefano

Malgrado il titolo, non è un biopic su Pablo Escobar, il più famoso e ricco narcotrafficante di sempre. L’opera prima dietro la macchina da presa dell’attore italiano Andrea Di Stefano (che ha interpretato, tra gli altri, Il principe di Homburg di Marco Bellocchio e Il fantasma dell’Opera di Dario Argento) sembra mostrare due volti diversi del thriller: quello in cui uno spazio apparentemente edenico si trasforma in una sorta di incubo popolato da sangue e fantasmi, e quello demoniaco. Da una parte infatti si avverte un clima quasi “cannibalesco”’, con gli uomini di Escobar che assomigliano ai “predatori di sangue” di The Green Inferno di Eli Roth. Dall’altra, merito e insieme limite del film, si fa avvolgere e sovrastare dal corpo di Benicio Del Toro (tra i produttori esecutivi insieme al protagonista Josh Hutcherson), presenza inquietante, volutamente ingombrante, quasi redivivo Dottor Mabuse che avvolge di ombre lo spazio circostante, anche quello apparentemente più neutro della sua festa di compleanno. Oppure si manifesta apertamente nel suo dialogo col sacerdote, come una sfida a Dio.
Nick, un giovane surfista canadese, raggiunge il fratello in Colombia. Lì incontra Maria, di cui si innamora follemente. Ma la ragazza è la nipote di Pablo Escobar. E per lui iniziano i problemi quando viene a contatto con il suo clan. I riferimenti possono rimbalzare tra Coppola (Il Padrino), Penn (Gangster Story, apertamente dichiarato con la presenza dell’auto) e Assayas (Carlos) con la foresta di spettri che riporta dalle parti di Boorman (Un tranquillo weekend di paura). Anche se, in questo caso, le coordinate temporali, appaiono delimitate e dichiarate. Il film infatti è ambientato nel 1991, quando Escobar ha deciso di consegnarsi spontaneamente alle autorità per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. 
Di Stefano entra di petto nel film, anticipando e oscurando il “paradiso perduto”. Con un inizio davvero promettente (la preghiera in controcampo dei due protagonisti), cattura la preoccupazione e il terrore negli occhi di Nick e il fratello e ha alcuni momenti potenti come l’aggressione da parte del cane. In più accenna a quello che poteva essere un elemento riconoscibile – e quindi maggiormente approfondito – quello dell’invadenza di campo. Tra Nick e Maria sembra esserci sempre Escobar anche quando non è presente, C’è una scena in cui la coppia viene ripresa con una videocamera e il narcotrafficante è tra loro. Come un film su un “tragico triangolo amoroso”, quasi un sottotesto non adeguatamente sviluppato. 
Il “diavolo” Escobar appare però più presunto che reale ed Escobar perde consistenza nel momento in cui il clima allucinato si perde per lasciare il posto alla velocità piuttosto che al respiro del thriller con travestimenti e fughe, dove forse è la stessa sceneggiatura (scritta dallo stesso Di Stefano) a limitare quell’impeto visionario, a tratti accennato abilmente ma non del tutto sviluppato. In cui gli stessi dialoghi, l’eccessivo prolungamento delle scene, disperdono la tensione anziché alimentarla., proprio nel momento in cui le tracce di biopic, quindi la Storia, entrano nella finzione. Dove gli iniziali “occhi di paura” di Josh Hutcherson appaiono maggiormente credibili della sua successiva follia.