CINEFORUM / 573

La leggenda di un regista ridicolo

James Franco, autore di Palo Alto – luogo di per sé leggendario per la scuola di psicologia –, ci regala una commedia in cui il regista-attore si specchia in una vicenda che riproduce aspetti di una seduta psicoanalitica clamorosamente divertiva. Il punto d’avvio per The Disaster Artist fu l’incontro casuale, da parte di Franco, fino a quel momento acclamato per i suoi impegni seriosi, con la brutta copia del libro che Greg Sestero, uno dei protagonisti di The Room, avrebbe pubblicato di lì a poco con Simon & Shuster, in cui si racconta l’incontro tra il misterioso aspirante regista Tommy Wiseau e il giovane attore proveniente da Los Angeles e avvenuto in una scuola di recitazione di San Francisco, un legame che prese intensità anche nel comune amore per l’attore feticcio James Dean. James Franco, in quel periodo a Vancouver per le riprese di The Interview, non aveva mai visto The Room, il film che Wiseau avrebbe realizzato assieme a Sestero e che sarebbe divenuto un caso eccentrico nella storia del moderno cinema americano. Franco fu rapito dal racconto scanzonato e affascinante di Sestero sulla realizzazione di un film in cui l’amicizia è il vero sprone di quello che diventa un disastro artistico e commerciale ma ben presto anche l’emblema di sorti ribaltate nella bizzarria calcolata e mai completamente prevedibile dell’industria dello spettacolo.

Con The Disaster Artist, Franco si butta a capofitto in un’avventura cinematografica che declama l’intento di raccontarci la nascita di una simile paradossalità e si mette davanti e dietro la macchina da presa calandosi nel ruolo di Tommy Wiseau. Nel mettere tra parentesi l’impegno sociale così evidente in Dubious Battle – Il coraggio degli ultimi, Franco si accosta a qualcosa di esplosivo e forse di più personale: il racconto mimetico, ossessivo, precisissimo al limite del calco di sequenze del film di Wiseau, condotto in un omaggio caloroso e appassionato, riflessione sul cinema come forma di esperienza smisurata in cui si gioca il conflitto tra ragione e follia. The Room, sorta di melodramma torrido su un triangolo amoroso che finisce in tragedia, è stato il solo film scritto, diretto e prodotto da Tommy Wiseau, figura misteriosa e enigmatica dai capelli vistosamente tinti di nero, che divenne celebre a Hollywood dopo aver installato un gigantesco poster su Highland Avenue per promuovere il suo vanitoso e bizzarro film che costò sei milioni di dollari e che dopo l’anteprima in due schermi della California del Sud scomparve brutalmente dalle sale, importando la cifra misera di milleottocento dollari dopo due sole settimane di programmazione (nel poster una frase a effetto e poco veritiera citava: «Un dramma degno di Tennesee Williams»). The Room era il riflesso dell’eccentricità del suo autore che, bollato per aver realizzato “il peggior film della storia del cinema”, si trovò affiancato a Ed Wood e conobbe poi, come controcanto della follia realizzativa che lo spronò, la beffa fortunosa del destino per la quale il suo film iniziò ad attirare folle di curiosi e divenne un cult dell’home video.

Dentro questa vicenda di amore per il rischio e per una scommessa espressiva tanto inconcludente, Franco si immerge con entusiasmo contagioso, regalando, con The Disaster Artist, un film che sarebbe fuorviante considerare, come è stato fatto, insincero, opportunistico: il suo film piuttosto, oltre a offrirsi come un ironico e gustoso avvertimento sui modi meno prevedibili per entrare nella leggenda, è una riflessione sul binomio arte-vita che ci rammenta come non esistano contorni scolpiti e invalicabili nel cinema e in arte quando non si sa bene cosa si sta cercando di fare ma ciò che conta è accompagnare la propria passione fino all’ultimo soffio di vita. Franco coglie bene, mettendosi nei panni di Wiseau, la vicenda di ostinazione di quella che sul grande schermo diventa un’anima candida seppure estranea a qualunque forma di talento; Franco si disancora di sovrastrutture e sembra avviare una specie di seduta di terapia in cui l’emotività trabocca e diverte con intelligenza, nel racconto di un amicizia imprevedibile, quella tra Wiseau e Sestero, in cui potrebbe esserci una tensione omoerotica, legame che dura ancora oggi e che nel film è il racconto di un uomo adulto dal passato misterioso (non si saprà mai da dove proviene la sua grande ricchezza) che accoglie in casa un ragazzo bello e di cui è geloso fin dal primo istante in cui Sestero gli presenta la sua fidanzata Amber.

Nell’empatia che trapela come dimensione emotiva dominante del film, Franco non indulge in sottolineature morbose, lasciandosi attrarre dal suo modello e coinvolgendoci con i sogni dei protagonisti. Wiseau è per Franco un uomo solo, incompreso, che vorrebbe che la gente si accorgesse di lui. Aiutato da un trucco eccellente, da capelli lunghi e neri, da occhiali da sole grandi stile anni Novanta, Franco replica con costumi perfetti un Tommy Wiseau da premio (i Golden Globe lo hanno ricordato) e un film come The Disaster Artist può essere gustato nella maniera migliore in lingua originale, dove si possono cogliere gli accenti che Franco ha modulato per restituire la cadenza tipica dell’“artista disastroso”. Mimetismo e omaggio sono i termini precisi dell’incontro tra Franco e Wiseau, a tal punto che non solo Franco si cala in modi talmente intensi nel suo personaggio da rendere non di rado arduo cogliere le differenze tra i due, ma quando alle sequenze originali di The Room si affiancano quelle ricreate da Franco, realtà e finzione si fondono ed emerge la cifra più interessante del film, lo sconfinamento della verità nella finzione ribadita e sospinta a onde di coinvolgimento per la figura di Wiseau, di cui il racconto e l’attenzione di Franco assolvono a una specie di divertito risarcimento per la disattenzione e la mancanza di cuore che gli attori e i membri della troupe, seppure ben pagati, rivolsero al loro datore di lavoro.

Empatia di Franco che riesce a restituire con umanità le ombre di una persona insicura, fragile, pronta a perdere la ragione quando qualcuno tenta di deriderla o di metterla da parte. I toni affettuosi sono colmi di attrazione irresistibile per i modi di fare eccentrici, il narcisismo incontenibile, il carattere imprevedibile di Wiseau. Il suo ritratto ha sovente l’aspetto della decalcomania ma è anche immersione senza troppe ambiguità nella vicenda di una Hollywood in cui il sogno, il racconto del mito, la figura di James Dean, il culto improvviso e ingiustificato, sanciscono il terreno del culto destinato a diventare fatto di massa e cultura per tutti. Nella vicenda di un outsider, nella storia di un uomo solo e dai sogni a cui il denaro, pur presente, nulla può garantire, si distilla ancora una volta il territorio sconfinato dell’illusione, attraverso la sua realizzazione materialistica e l’edificazione del sogno che manipola la razionalità ma che può nascondere e schiudere ambizioni e aspettative radicate nella vita dei più. The Disaster Artist diventa così anche una commedia che riflette su una fase cruciale della creazione artistica degli anni Novanta, il passaggio dalla pellicola al digitale esemplificata dal lavoro di un artista senza talento, e in questa luce il film coglie una sfumatura di senso nello sguardo divertito eppure anche amaro che traspare dalla considerazione che persino il cinema improvvisato e amatoriale richiede la presenza di uno stile, di un’espressività forte e personale.

Parlando di mancanza di stile, Franco però si concentra sull’umanità, sulla fragilità del personaggio, sottolineando come la mancanza di regole e di stile è una vicenda che si ritrova dentro e fuori l’industria dello spettacolo, discrimine di un mondo in cui occorre conoscere le regole anche se alla fine il gioco sembra spesso condotto al di fuori di tutte le regole. Hollywood, in questo senso, è quel regno che ha vissuto di autonomia celebrando il trionfo del sogno ma anche dell’emotività prima della razionalità, che ha scommesso e puntato sul divertimento finendo per inglobare diversità e innovazione, regalando tra le sue cose più emblematiche e gustose le screwball comedies, le commedie anarchiche ma anche quelle ipercodificate, e ha poi assurto a emblema di sé anche il loro apparentemente opposto, i film come The Disaster Artist che cercano di rievocare un genere, il piccolo film maledetto e poi incensato per la sua eccentricità, a suo modo film-malìa che si presta come rinnovata variante del culto per la macchina industriale del cinema, seppure giocando il ruolo di elemento di minoranza.