CINEFORUM / 577

Mr Long

Mr Long è un killer su commissione. All’inizio della storia lo vediamo a Khaoshung, Taiwan, dove gli viene ordinato di uccidere a Tokyo, con la precisione che gli è consueta. Le cose, però, questa volta non andranno per il meglio e Long deve si rifugia in periferia, lontano da occhi indiscreti, per prendere tempo e comunicare al suo boss che deve tornare a Taiwan prima di terminare la missione. Nel frattempo entra in contatto con una piccola comunità di emarginati, che lo accolgono dopo un’iniziale diffidenza e gli consentono di aprire una piccola attività come venditore ambulante. Incontrerà anche una bellissima donna, segnata dalla tossicodipendenza e dalla violenza subita negli anni, e il bambino nato da una fugace relazione, che si affezionerà presto a lui.

In Mr Long si ritrovano molti dei topoi del cinema giapponese: dalla violenza e dalla figura del killer a contratto, taciturno, di cui non conosciamo il passato e le motivazioni, ma di cui osserviamo il modus operandi; il tema della vendetta, subita e perpetrata, che attraversa non solo la vicenda raccontata ma che appare come tratto distintivo di quasi tutti i personaggi; il rapporto adulto/bambino, padre/figlio, autentico refrain del cinema e della letteratura giapponese. Sabu segue tre percorsi narrativi e stilistici paralleli: il montaggio frenetico e la violenza iconoclasta (anche questa nella tradizione del cinema giapponese, iperrealista, iperbolica, spettacolare) quando filma Mr Long nelle sue vesti di killer spietato, il tono da commedia, anche degli equivoci, basata in particolare sui misunderstanding linguistici che si creano tra lui e gli outcast di questa piccola comunità giapponese che vive ai margini della società; infine, quello molto delicato, quasi trasognato, del rapporto con il figlio della ragazza tossicodipendente. Un rapporto fatto di sguardi, di piccoli gesti, di celate tenerezze e malinconie.

Esiste però anche un quarto percorso, più tormentato e meno lineare. È quello che riguarda Lily. La sua apparizione provoca una cesura narrativa forte nel film. Appare in tutto il suo splendore, ma anche nella sua fragilità. Sabu la racconta in modo piuttosto ellittico, almeno nella sua storia d’amore e nella nascita del figlio, ma anche nella discesa agli inferi che la porterà alla tossicodipendenza e al legame con pericolosi pusher. Lily vede in Long un angelo salvatore, qualcuno che può finalmente riscattare la sua travagliata esistenza e che può dare un futuro al figlio tanto amato. Non durerà per molto, ma Sabu trasmette una grande intensità emotiva che non lascia indifferenti. Più prevedibile, invece, come Sabu porta a termine tutte le tracce narrative disseminate lungo il film. Lily era destinata alla sconfitta, ma il riapparire improvviso del suo aguzzino che in un lasso temporale piuttosto breve determina la sua fine appare scelta affrettata. Così come, seppur spettacolare ed iperbolica, la vendetta di Long si pone in controtendenza con un percorso di riabilitazione personale che lo stava portando ad una sorta di autoredenzione. Ma come accade spesso nei romanzi di Murakami, per Sabu, anche nell’amaro finale nelle strade di Khaoshiung, i personaggi sono legati a catene dalle quali non potranno mai staccarsi, da un destino ineluttabile che li schiaccia e non concede loro alcuna via di fuga. Questo anche se Long finalmente sorriderà nel vedere la piccola comunità giapponese con cui ha vissuto che rischia l’incolumità per riabbracciarlo, e anche se si curerà personalmente del figlio di Lily.