CINEFORUM / 579

Donne, sovversive

Nel nutrito numero di film recensiti presenti su questo numero è possibile rintracciarne alcuni nei quali i personaggi femminili rivestono un ruolo propulsivo nel dispiegarsi della narrazione e dunque un’importanza che da questa finisce per estendersi al contesto e alle prospettive culturali e antropologiche, più che politiche, cui essa finisce per aprirsi.

Sicuramente il primo titolo da considerare a tale proposito è Disobedience. Sebastian Lelio ci propone due protagoniste che, ritrovatesi dopo un lungo periodo di separazione, attraverso il desiderio insopprimibile non solo riaffermano la propria vera identità sessuale ma fanno molto di più. Il sentimento che le unisce sovverte valori e norme repressive che vanno oltre la sfera sessuale e chiamano in causa la posizione della donna nella comunità ebraica ortodossa in cui la storia si svolge, e insieme a questa le modalità della relazione donna/uomo che in tale comunità sono approvate come unica opzione. La vicenda si chiude senza alcun trionfalismo, ma con un’apertura di speranza che nel suo minimalismo si impone come una conquista importante.

Altra irriducibile irregolare è la giovane Tom di Non dimenticarmi. Oggetto di un controllo e di una segregazione condotti dal potere nelle sue forme dell’istituzione clinica e del nucleo familiare, Tom, semplicemente, non ci sta. Il suo obiettivo è di trasformarsi in soggetto, responsabile delle proprie scelte, anche sentimentali, e del proprio futuro a dispetto dei giudizi che gli standard della normalità impongono per sopprimere ogni elemento di disturbo all’ordine così costituito. Tom è protagonista di un percorso di sovversione e sceglie come proprio partner un elemento altrettanto disturbante, sia pure per motivi diversi ma altrettanto conflittuali nei confronti dei limiti che il contesto sociale è in grado di sopportare. Interessante notare che, così come in Disobedience, anche nel caso del film di Ram Nehari, i riferimenti sociali e normativi sono quelli del contesto ebraico.

La diseducazione di Cameron Post, infine. Protagonista un’adolescente “interrotta”, il film racconta, come quello di Lelio, di un’identità sessuale contrastante con codici e valori socialmente – prima ancora che moralmente – accettabili. Ma questa volta il soggetto in questione è particolarmente fragile proprio perché non ancora consapevole della propria individualità. Cameron diventa oggetto di un piano di salvezza del tutto estraneo, nel quale non può riconoscersi ma che le viene estorto facendo leva sul senso di colpa. Il quadro si arricchisce in questo caso anche di un elemento generazionale: la falsa rieducazione viene imposta come condizione per il raggiungimento di un’adultità vista quale presupposto del vivere in piena realizzazione di un sé finalmente adeguato alle richieste della collettività, e per questo legittimato all’esercizio di ogni forma di controllo non richiesto.