CINEFORUM / 586

Una commedia della depressione

Una peculiarità delle commedie di Pierre Salvadori consiste nelle anomale coordinate narrative delle sue storie, anomale perché calate in una dimensione di depressione e marginalità: l’anziano sicario Jean Rochefort avvinto e afflitto da una madre possessiva in Cible émouvante (1993), i disoccupati di Les apprentis (1995) che passano di disavventura in disavventura, l'aspirante suicida di In amore c’è posto per tutti (Après vous…, 2003), il cameriere innamorato di una prostituta d'alto bordo in Ti va di pagare? (Hors de prix, 2006), la solitudine sentimentale di Beautiful Lies (De vrais mensonges, 2010), la depressione cronica e il disadattamento in Piccole crepe, grossi guai (Dans la cour, 2014). Nelle sue sceneggiature, concepite in tempi lunghi di gestazione (soltanto undici film in venticinque anni), Salvadori adotta questi elementi come veicoli di gag che giocano sul paradosso, sui contrasti e sulle dinamiche innescate dalle bugie di cui i suoi personaggi fanno frequente uso nella speranza di raggiungere i propri scopi. 

In En liberté! (scioccamente tradotto in Italia Pallottole in libertà), due soggetti che, sulla carta, non sembravano possedere requisiti umoristici, si intrecciano in uno solo, sotto il segno, appunto, della depressione: la storia di un uomo, Antoine Parent, che esce dal carcere dopo avere scontato una lunga detenzione per un crimine non commesso e quella di una donna poliziotto, Yvonne, che scopre come il marito, Jean Santi, anche suo collega, non solo non fosse l’eroe che tutti (lei compresa) hanno sempre creduto ma addirittura praticasse sottobanco la corruzione, pratica di cui soltanto il collega Louis era al corrente. Anche le istituzioni sono cadute nello stesso inganno perché, in una sarcastica sequenza iniziale, vediamo la cerimonia in cui viene solennemente dedicata a Santi una statua, brutta e per nulla somigliante, sul corso Masséna a Marsiglia (ma l'ambientazione del film rimane vaga nel Sud della Francia). Le due storie confluiscono in una sola perché Jean ha fatto condannare ingiustamente Parent e questa scoperta suscita un profondo sentimento di colpa nella vedova che avverte l’esigenza di riparare ai torti del defunto cercando di aiutare in tutti i modi Antoine, che, in preda a una rabbia da ossesso, si abbandona a un crescendo di eccessi (offende la vecchia passeggera di un tram, ruba in un negozio, incendia un ristorante, infine rapina una gioielleria).
La mitizzazione dell’eroismo di Santi ispira a Salvadori una delle più brillanti idee del film: il racconto che Yvonne fa al figlioletto delle gesta del padre come favola della buonanotte, viene visualizzato nella forma di un action movie contemporaneo, con esplosioni, numeri acrobatici ed effetti digitali, riecheggiando però anche un certo cinema popolare francese del passato, ossia l’autoironia dei film spettacolari prodotti e interpretati da Jean-Paul Belmondo negli anni Settanta e Ottanta. Non solo: una volta che la vedova prende coscienza della reale natura del marito defunto, la visualizzazione viene ripetuta in una chiave sempre più denigratoria per il protagonista, ridimensionato dalla menzogna della mitizzazione postuma alla sua realtà meschina di poliziotto corrotto, finché non è il figlio stesso a rielaborare le gesta paterne secondo l’ottica di un fanciullo la cui maturazione passa anche attraverso la messa a distanza dei miti infantili. Nel corso del film, questa sequenza fantasmatica diviene il contrappunto alla realtà della narrazione, più o meno come accadeva in uno dei migliori e più popolari film di Philippe de Broca, Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo (Le Magnifique, 1973) dove appunto Belmondo impersonava uno scrittore di romanzi d’azione e il personaggio eroico che egli stesso aveva inventato e le cui imprese venivano mostrate in modo sempre più derisorio.
Il pastiche di Salvadori non si limita alla mimesi del cinema di genere ma, assorbendo alcuni elementi narrativi dal poliziesco (che il regista aveva affrontato in chiave drammatica nello sfortunato Les marchands de sable, 2000) e contaminandoli con la commedia, riecheggia le iperboli dei film d'animazione, nutriti di slapstick e di burlesque, con echi del cinema di Tex Avery, dei fumetti di Goscinny, e imprime un carattere grafico ad alcune gag. Così, i travestimenti e le maschere più improbabili, provocano un effetto di metamorfosi fisica nelle fisionomie dei personaggi e al tempo stesso adempiono a una beffarda funzione rivelatrice: come quando Yvonne scopre all'improvviso la reale natura del defunto consorte da un uomo facoltoso arrestato durante una retata in un appartamento dove si consumava un’orgia sadomaso, e che ancora indossa la tuta di lattice per i suoi giochetti (a questa gag, si aggiunge quella accessoria di un prelato, anch’egli arrestato nella stessa occasione, che si difende dicendo di essere vittima di un orribile malinteso). Il sacchetto nero dell’immondizia che Antoine si cala sul volto per compiere un primo furto in un negozio prelude al travestimento alla Fantomas cui egli ricorre per rapinare una gioielleria, travestimento che viene emulato dalla stessa Yvonne, per addossarsi la colpa del crimine in vece dell'uomo.
Con il direttore della fotografia Julien Poupard, Salvadori ha cercato immagini contrastate, adottando la Leica Summilux, che ha ottiche particolarmente sensibili e una resa fedele dei cromatismi (nelle inquadrature ricorrono sempre due colori primari). Poi, in sede di calibrazione del colore, hanno usato una LUT Kodak risaturando alcuni cromatismi in modo da evidenziare almeno due colori primari. Dal punto di vista ritmico, i toni burleschi sono sottolineati anche dalle musiche, opera di Camille Bazbaz, che per la prima volta hanno un ruolo significativo in un film del regista di Les apprentis.

Running gag

Le due depressioni di En liberté! – la disillusione della giovane vedova e il risentimento dell’innocente incarcerato ingiustamente – diventano complementari perché i personaggi le esprimono in modo opposto: la donna cova un senso di colpa da cui cerca di emendarsi aiutando la vittima del marito che, invece, in seguito all’esperienza carceraria libera un'ira incontrollata contro il mondo, con un’unica ossessione: rendersi effettivamente colpevole di un atto criminale. Per dissimulare meglio i suoi scopi filantropici, Yvonne nasconde ad Antoine la sua reale identità di poliziotta e finge di essere una prostituta, con tutti gli equivoci del caso. Il carattere determinato di Yvonne (interpretata da una giovane attrice in ascesa, Adèle Haenel, che per la prima volta si misura con una commedia) ricorda la fisionomia delle eroine delle screwball comedy statunitensi, oltre che di due film di Jonathan Demme, Qualcosa di travolgente (1986) e Una vedova allegra… ma non troppo (1988) che per il regista rappresentano due modelli filmici,  mentre l'ossessività di Antoine è una variante logorroica della laconicità del protagonista di Piccole crepe, grossi guai, anch'egli depresso e anch'egli denominato Antoine. 
Anche un esilarante personaggio accessorio è vittima della depressione: un omino dall'aria innocua che, introdottosi nella centrale di polizia, confessa a Luis di avere assassinato la zia e di averla fatta a pezzi, ma il poliziotto, troppo assorbito dalle sue pene amorose, non gli presta la minima attenzione. Così l'omino continua a perpetrare delitti, mentre i sacchetti di plastica con i resti delle sue vittime aumentano in proporzione: è una running gag (ossia una gag reiterata che diviene più divertente proprio grazie alla sua ripetizione) fra le più felici del film, anche perché evidenzia lo stato di alienazione del poliziotto. Oltre a Louis, un altro personaggio depresso è Agnès, la moglie devota di Antoine (interpretata da Audrey Tautou, che è al suo terzo film sotto la regia di Salvadori). Nella sequenza in cui ritrova il suo uomo dopo che è stato fatto uscire dalla prigione, Agnès, che non si attendeva di rivederlo, gli chiede di ripetere il suo ingresso nella casa perché l'azione spontanea e reale non era “riuscita bene” e quindi per viverla pienamente, preferisce farla recitare al marito e a se stessa. La sequenza riprende in parte il motivo di una scena di Beautiful Lies, quando la stessa Tautou leggeva due volte una lettera e soltanto la seconda volta ne capiva il senso. Salvadori esalta così il potere della finzione sulla mera realtà. Il fascino ipnotico dello spettacolo viene invece beffardamente evocato nella divertente sequenza in cui i poliziotti seguono la rapina compiuta da Antoine nella gioielleria dalle telecamere di sorveglianza, come se fosse uno spettacolo avvincente.
Confortato da un buon successo di pubblico in Patria (oltre settecentosettantacinquemila spettatori) che purtroppo non si è ripetuto da noi, En liberté! (titolo che allude, più che alla condizione di ex galeotto di Antoine, al tono narrativo del film) ha beneficiato anche di un'unanimità critica quasi assoluta (i «Cahiers du Cinéma» e «Positif», che per tradizione si trovano spesso su posizioni opposte, hanno entrambi applaudito il film) e conferma anche la vitalità e il rinnovamento della commedia transalpina, come dimostrano 7 uomini a mollo di Gilles Lellouche (anch'esso incentrato su storie di depressi), Au poste! di Quentin Dupieux, Le Jeu di Fred Cavayé, I Feel Good di Benoît Delépine e Gustave Kervern, tutti usciti nel 2018.