Bocconi prelibati

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Bocconi prelibati

Il western non è morto. Purtroppo.

Non è neppure sepolto. Ed è questo il suo grande problema contemporaneo. I fan e la critica ne hanno pianto la fine per decenni, ma è sempre stato un lamento da prefica: il western non è mai veramente scomparso, nemmeno negli anni Ottanta, quando per Eastwood e Kasdan si parlava a sproposito di resurrezione. Come i migliori generi-spugna (il noir, l’horror, la commedia), il western ha spesso cambiato pelle. Nel corso degli ultimi lustri si è travestito, truccato, alterato, ma sempre intimamente western è rimasto. Mascherarsi insomma gli ha fatto bene: segno di abilità, segno di coscienza.

Oggi no, il western non si camuffa più. Al massimo evita qualche abito scontato, ma di recente esibisce la propria “nudità”, e si articola con una prosopopea direttamente proporzionale al recupero sostanziale dei suoi cliché. Ne fanno le spese il genere stesso e gli appassionati, perché entrambi “ricapitolati” in una realtà di mercato e di sguardo cambiata nel profondo.

Il western odierno ha l’ambizione di essere un “ritornante”, il sopravvissuto di una civiltà estinta, ma è un cadavere che biascica e che si trascina, e non è un bel vedere. Piuttosto che rivelarsi quale depositario di un sapere perduto, esso si scopre completamente inadeguato a capire non tanto il mondo, quanto essenzialmente se stesso. Non bastano la sabbia, un paio di pistole, qualche Stetson e – nulla osta ufficiale – un cavallo. Per applicare la retorica con criterio ci vuole anche una sensibilità per lo scenario commerciale, una visione d’insieme. Altrimenti è sufficiente un bofonchiamento qualunque e la leggenda è già servita. Adesso non serve più capire cosa sia in verità il western, o quale sia la sua epica, tutto ciò è già agli atti, è già documentato, non raccontiamoci frottole: serve al contrario una consapevolezza storica, che largamente oggi non c’è, rimpiazzata da una manifestazione demagoga.

Bando dunque alle riabilitazioni o alle rinascite cicliche, il western ha bisogno di essere davvero sotterrato, una volta per tutte. Soltanto così può rifarsi una vita. Sennò lo si ritrova sempre lì a farfugliare, e non se lo merita. La colpa è anche di chi si ostina a individuarlo ovunque, a cercare il western in ogni salsa. Proviamo a seppellirlo tutti insieme, senza preghiere o invocazioni, si sa mai che finalmente si “ricreda”.

Perché non è con film come i nefasti Hell or High Water di David Mackenzie, Nella valle della violenza di Ti West o The Ballad of Lefty Brown di Jared Moshe che il western può riaccreditarsi; e di certo non gli è utile insistere sulla violenza, nel tentativo di un aggiornamento elementare e prevedibile (vedi i disgraziati The Salvation di Kristian Levring o Bone Tomahawk di S. Craig Zahler). Il paradosso – neanche così inaspettato – è che l’omaggio, la citazione, l’amore assoluto per il genere si sviluppano in questi film come oscenità dimostrativa; e più è evidente la conoscenza, più aumenta l’immoralità impudica. Basta confrontare due titoli quali The Homesman e Brimstone: Tommy Lee Jones non deve esprimere niente, ogni cosa è già lì, mentre lo sciagurato Martin Koolhoven ribadisce, si impunta, sottolinea, risultando irrimediabilmente molesto (e la neve non fa automaticamente epopea o mito: di Neruda ce n’è uno). Il western è giunto a un tale stato di decomposizione ambulante che adesso non gli torna comodo nemmeno più il “costume”: nel rumeno Câini, ad esempio, il regista Bogdan Mirica dissimula i generi, li traslittera, un po’ nero un po’ western, tuttavia finisce incagliato nelle sue stesse rivendicazioni immaginifiche, e non va da nessuna parte.

Come concedergli ancora fiducia, allora, al western? Come può lo spettatore rinnamorarsi di lui? E il cinema? Spero ardentemente che le praterie si secchino e che vengano dati alle fiamme i saloon, e sterminati tutti i cavalieri possibili, e tutte le donne in pericolo, e i pionieri, e i quadrupedi. Mi auguro che si inceppino i fucili, che le munizioni svaniscano e che gli orizzonti a perdita d’occhio trovino l’oscurità. Perciò spero con il cuore e con la testa che il western torni ad avere un senso, a ritrovare l’identità che una sola bottiglia di whisky non gli può garantire.

Uccidiamo definitivamente il western, e facciamolo vivere!