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Un ettaro di cielo

Un paese vecchio, stanco e affaticato. È questo quello che rimane nelle campagne. È questo quello che il neorealismo lasciò. Un impegno sociale duro a morire che si nasconde e si camuffa negli sfondi di commedie ottimiste e impegnate a mostrare un futuro che sarebbe potuto diventare migliore del passato. È il neorealismo rosa e tra i tanti film e le tante commedie, nel 1958, esordì Aglauco Casadio con Un ettaro di cielo, con un giovane Marcello Mastroianni e una quasi esordiente Rosanna Schiaffino.

 

Ora il film esce per la prima volta in edizione homevideo, grazie alla CG Entertainment. E per noi è stata l’occasione di vederlo e inserirlo nel contesto della produzione cinematografica di allora.

 

Il film non ebbe una grande eco, ma ancora oggi è limpido ed evidente nella sua pertinenza con il cinema italiano degli anni ’50. Da un lato, come già detto, un cinema che cercava di superare il neorealismo e dall’altro un cinema che si incamminava verso il moderno, verso una strada totalmente autoriale. In poche parole, un film che sa farsi conseguenza, superamento degli anni ’40 e lontano accenno a suoi contemporanei che già guardavano al futuro. Un film che è una commedia sociale e che guarda l’Italia nella sua condizione attuale, ma che a tratti sa essere una favola e sa giocare con accenti grotteschi e poetici (quasi accostabili al Fellini di quegli anni).

 

Uno dei conflitti centrali sta proprio nell’idea di trovarsi di fronte a questa fase transitoria della storia. Una commedia ambientata nelle paludose campagne del delta del Po, abitate da anziani signori, gente che aspetta, osserva e dibatte. Una realtà lontana dal progresso, lontana dalle città e da un mondo che può soltanto immaginare. L’arrivo in paese di Severino mette, quindi, in moto questa immaginazione ma anche questo divario. Arriva in macchina, mentre tutti ancora usano la bicicletta, si rade con il rasoio, quando tutti ancora vanno dal barbiere. Un’idea e un’immagine di progresso che può tanto svegliare e stimolare quanto ingannare e aggirare. Perché, in Un ettaro di cielo, il progresso è tanto vero e lontano, quanto falso e ingannevole. La truffa è sempre dietro l’angolo, il “circo” è in paese e cercherà di vendere il falso progresso attraverso una donna a due teste che si scoprirà essere due gemelle e attraverso la donna barbuta che in realtà è soltanto un uomo.

 

Tra le vittime vi è il gruppo di anziani. Un insieme di personaggi che reggono tutto il film e la sua comicità. Il barbiere, l’avaro, l’anarchico (il cui nome Germinal, richiama non a caso il romanzo di Zola) e lo sfruttato, sono i veri protagonisti, sono gli italiani distratti e disorientati. Tanto ingenui da lasciarsi aggirare facilmente e da essere addirittura coinvolti da Severino (il migliore dei truffatori) nell’acquisto di un ettaro di cielo.

 

Un ettaro di cielo è una storia di bugie, ma anche una storia d’amore. Tipico della commedia di quegli anni. Il film è investito dai continui contrasti sentimentali tra i due giovani protagonisti: Severino e Marina. Un amore che sembra non sbocciare mai, anche se, già dall’inizio si intuisce: Severino non è un uomo che rinuncia facilmente.

 

Tutto ciò è accompagnato dalla colonna sonora di Nino Rota, un sottofondo musicale di una malinconia squisitamente Italiana. Altri grandi nomi - oltre agli attori e ai compositori - formano il cast di questo film, che pare quasi una previsione e una palestra per il cinema a venire. Infatti tra gli sceneggiatori si può notare Tonino Guerra, Elio Petri e Ennio Flaiano. Una pellicola, quindi, scritta da chi in seguito farà il futuro del cinema italiano. Un futuro che si lascerà il passato alle spalle, lo lascerà camminare. Un passato che ha tentato di uccidersi, senza riuscirci. Il futuro ne ha cura e amore, ma appena si farà forza, appena potrà, se ne andrà partendo in macchina per una strada sconosciuta sebbene, a noi, oggi ben nota.