L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

20 ottobre 1977

Frederick Wiseman, questo sconosciuto

«Anche se ha partecipato con i suoi film a passate edizioni del Festival dei Popoli e della Mostra di Venezia, Wiseman non è molto noto in Italia e ci voleva il recente convegno di anti-psichiatria di Trieste per farne riscoprire il lavoro (ora pare che la Rai abbia acquistato parte dei suoi materiali). Wiseman ha cominciato a girare nel 1967, a 37 anni, e da allora è andato avanti fino a oggi al ritmo immutabile di un film all'anno e con un programma a tappeto che lo ha portato a documentare la realtà di tutte le istituzioni chiuse: l'ospedale, il carcere, il tribunale, il monastero, il manicomio criminale ecc.

Si potrebbe pensare a un meticoloso e onesto professionista della cinepresa, uno dei tanti che lavorano per le reti televisive americane. Ma quando lo scorso anno l'opera complessiva da Wiseman è stata conosciuta in Francia, si è parlato di lui come del più importante autore americano dopo (depuis, cioé un dopo solo cronologico) Kubrick e Cassavetes, e come del solo vero "rivale" di Altman o Scorsese.

Perché i film di Wiseman, se da un lato ne fanno l'erede della grande scuola del cinema-verità americano (Leacock, i Maysles, Pennebaker), sono anche una specie di sintesi del "vero" cinema hollywoodiano, una ripresa nell'ambito del documentario della tradizione dei generi e dei temi classici del cinema americano. Non è una lettura tendenziosa e "cinefila" di un cinema che ha invece nel suo uso sociale la sua destinazione più evidente, ed è stato lo stesso Wiseman ad affermare che, con i suoi documentari, egli in realtà ha sempre fatto della "fiction", dei film di genere: il poliziesco con Law and Order, la fantascienza con Primate, la commedia di situazioni con Welfare.

E le sue dichiarazioni, in cui all'ingenua fiducia nell'obbiettività si unisce una lucida consapevolezza del lavoro cinematografico, possono lasciare disorientati coloro che vorrebbero solo e subito ideologizzare i suoi film».

(Alberto Farassino, «la Repubblica»)