L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

26 gennaio 1928

«Si rannicchiò contro di me e mi offrì le labbra. Ci baciammo e ci avviammo verso il divano. B. mi aveva avvertito che era vergine. La pillola allora non esisteva ancora, e per non spaventarla non le dissi che era la prima volta che facevo l'amore con una vergine. Avevo alcune idee sul modo di procedere in quella circostanza, ma come tutti sanno ci corre parecchio fra la teoria e la pratica. Fino ad allora non ci eravamo mai spinti troppo oltre. Era anche la prima volta che la spogliavo. Quello che mi lasciò interdetto quando la vidi nuda fu la sua straordinaria mescolanza d'innocenza e di femminilità, d'immodestia e di timidezza. Non sapeva assolutamente niente dei rapporti intimi eppure appariva una donna completamente sviluppata. Mi prese fra le sue braccia e io cominciai con estrema delicatezza a fare l'amore con lei. I momenti che riuscimmo a rubare passarono in fretta. Era già ora di separarci. “Sono una vera donna adesso?” “Non completamente” risposi. “Solo al venticinque per cento.” Mi guardò con un sorriso appena accennato da Gioconda, sognando il settantacinque per cento che era in serbo per lei.»

«Trovai la chiave ed entrammo nella camera da letto dove il paralume, un po' scolorito e inclinato verso il pavimento, mi rammentava che avevo fatto l'amore con B. per la prima volta in quello stesso letto dieci anni prima. Tenni per me quel ricordo. La società dà un giudizio severo sulle donne che vanno a letto con un uomo meno di ventiquattr'ore dopo aver fatto la sua conoscenza. Io, al contrario, rispettavo C. per il suo atteggiamento che considerai un segno di fiducia nei miei confronti. C. si sentiva attratta da me, e cedette senza infingimenti a un desiderio che sapeva reciproco e sincero. Il suo corpo era bianchissimo, piuttosto fragile, e delicato come i suoi lineamenti. Ricordo di aver pensato che non avevo mai visto seni così meravigliosi. […] C. aveva diciassette anni e io trentadue. Ma l'età non faceva differenza. Né contava l'esperienza, perché le donne conoscono molte cose senza bisogno d'impararle.»

«C'erano un ampio letto, travi scoperte e un divano su cui ci lasciammo cadere non appena si fu tolta l'impermeabile. Ci baciammo teneramente e appassionatamente con l'impazienza di due amanti che s'incontrano dopo una lunga separazione. L'avevo spogliata per metà e stavamo per fare l'amore sul sofà quando improvvisamente si staccò da me e corse nel bagno. Ne uscì un minuto dopo, completamente nuda, e andammo a letto. Io mi spogliai e la raggiunsi. Ma era successo qualcosa, e non riuscii a fare l'amore con lei. […] Dopo l'appassionato amoreggiamento sul sofà, sentii che la scomparsa di J. nel bagno e il modo prosaico con cui era rimasta ad aspettarmi nuda nel letto erano stati qualcosa di piuttosto aggressivo. Il sogno era di colpo diventato banale. Era come se mi avesse detto: “Vuoi fare l'amore? Forza, allora”. E questo era ciò esattamente che le passava per la mente, J. mi disse in seguito. Si sentiva violentemente attratta da me, e voleva liberarsi della sua ossessione facendo l'amore. Si rifiutava d'innamorarsi, e sentiva che, finito il rituale, sarebbe stata libera. La mia improvvisa e inesplicabile impotenza cambiò completamente la situazione.»

No, non è un romanzetto osé del secolo scorso, ma qualcosa che assomiglia a un'autobiografia, partner – rispettivamente – la sedicenne Brigitte Bardot, la diciassettenne Catherine Deneuve e la diciottenne Jane Fonda, alle loro prime (in tutti i sensi) esperienze, e narratore partecipe Roger Vadim Plemiannikov, nato a Parigi in questa data da padre ucraino e madre francese. Uno che evidentemente ci sa fare con le donne (alla Bardot, prima delle sue mogli o compagne, seguiranno Annette Stroyberg, Catherine Deneuve – da cui avrà un figlio –, Jane Fonda, Catherine Schneider, Sirpa Lane, Marie-Christine Barrault), ma, almeno inizialmente, anche con il cinema: basti pensare al successo del suo esordio, Piace a troppi (Et Dieu créa la femme, 1956), che lancia Brigitte, poi gestita con sapienza in altri film, e all'opera sua forse più memorabile, il fantaerotico Barbarella (1967), non a caso destinata a Jane Fonda: entrambe eccitanti ma algide. (Cfr., per le citazioni, Bardot, Deneuve, Fonda, Rizzoli, Milano, 1986).