L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

3 febbraio 1901

Tra i 24 lettori di questa rubrica, chissà quanti riescono a identificare e a collocare un nome quale Nora Gregor.

Forse aumentano un po' se le si affianca il titolo di un film: La règle du jeu, il capolavoro di Jean Renoir risalente al 1939 e in cui Nora era la protagonista femminile. Ma il resto è rimasto un mistero sino a quando ai primi del nuovo millennio non si sono mosse con bella collaborazione transnazionale alcune forze culturali italo-slovene agendo attorno al benemerito Kinoatelje e alla città di Gorizia. Qui, allora sotto governo austriaco, alla data di cui sopra, nasce da padre boemo e madre carinziana Eleonora Hermina Gregor.

Con l'avvento del governo italiano, è costretta a trasferirsi a Vienna nel 1919 «in quanto di lingua tedesca», emigra negli Stati Uniti ma ben presto ritorna in Europa, finisce con lo sposare un principe austriaco che per due volte è vicecancelliere nel governo dell'Anschluss, nel 1938 fugge dal nazismo e si rifugia in Francia, di nuovo è esule in America Latina, ove muore in miseria e suicida il 20 gennaio 1949 a Santiago del Cile.

Ma la vera storia è un'altra: nel frattempo Nora Gregor (sottovalutata dalle storie del cinema) interpreta in ruoli dominanti Mikaël (1924, di Carl Th. Dreyer), Olimpya (1932, di Jacques Feyder) e soprattutto La règle du jeu, oltre a lavorare in una ventina di film internazionali, tra l'altro con Jack Conway, Billy Wilder, Richard Oswald.

Rimossa da noi in nome dell'italianità, rimossa in Austria a causa del marito, rimossa dalle storie in quanto non legata a una particolare cinematografia, rinasce oggi come emblema di un'Europa finalmente pacificata e unita. Quanto a lei potrebbe attribuirsi una battuta del suo partner Octave (parte ricoperta dallo stesso regista) nel film di Renoir: «J'ai envie de disparaître dans un trou. […] Ça m'avancerait à plus rien voir, à ne plus chercher, c'qu'est bien, c'qu'est mal. Parce que tu comprends, sur cette terre, y a une chose effroyable, c'est qu'tout le monde a ses raisons».