L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Figli di Medea o di Orson?

Anton Giulio Majano muore in vacanza a Marino, il 12 agosto 1994, all'età di ottantadue anni, colpito da ictus. Inattivo da tempo, una vecchiaia passata in solitudine dopo una burrascosa vita affettiva, il padre del teleromanzo (Piccole donne è del 1955) lascia un libro emblematico e allusivo, Tre addii, che è un giallo ambientato in via Teulada, ove un omicidio turba il corso delle riprese di uno sceneggiato.

Non lo ricorderemo per la sua molteplice attività di soggettista e sceneggiatore, o di regista cinematografico (11 film dal 1949 al 1961, tra cui eccelle La domenica della buona gente, 1953), o appunto di maestro dello sceneggiato tv (dopo il citato Piccole donne, ben 24 altri titoli sino al 1986) o di serie quali Tenente Sheridan (1965) e Qui squadra mobile (1973 e 1976), ma per un evento che si chiama I figli di Medea, film per la tv del 1959. Citiamo in proposito dal nostro Il romanzo di Alida Valli (Garzanti, 1995):

«Il 9 giugno del '59, la Valli esordisce sul piccolo schermo con I figli di Medea che, assicurano i giornali, “riprende l'antica leggenda, ricreandola in chiave moderna e originale, secondo una 'trovata' che sfrutta le particolari possibilità del mezzo televisivo”. E difatti il testo di Vladimiro Cajoli che viene posto in scena da Majano ha vinto il secondo concorso per originali televisivi indetto dalla Rai, una Rai che cerca ancora proprie vie e un proprio repertorio. A costo di stupire, di scandalizzare, si badi bene non nel campo della morale (che è ancora quella di Filiberto Guala, il dirigente che ben presto si farà frate trappista), bensì in quello dell'intrattenimento a sorpresa.

«E la sorpresa – tenuta rigorosamente segreta sino a un quarto d'ora dopo l'andata in onda, cioè sino a quando non sono gli stessi spettatori a sorprendersi – non manca. Dinanzi al teleschermo, quella sera, si presumono non folte e soprattutto solitarie le presenze, giacché un classico, sia pur rivisitato, non attira molto la media delle famiglie italiane, e l'inizio della trasmissione, infatti, ha un che di soporifero: modesta scenografia, panni più che arcaici, recitazione della stessa Valli stranamente un po' filodrammatica. Ma lasciamo il resto della descrizione a Gino Fantin del Corriere d'Informazione: “...scalinate, cariatidi e robuste architravi nel palazzo di Corinto dove la leggendaria Medea è a colloquio con il fanciulletto Eros, dio dell'amore, e attende impaziente un messaggero di Giasone, il conquistatore del 'vello d'oro'... Quando però lo spettatore si è ben acconciato a vedersi una tragedia classica e sta chiedendosi come il professor Cajoli l'avrà mai modernizzata, la protagonista (Alida Valli) perde improvvisamente la battuta, cade in affanno, poi scoppia in pianto mentre una voce ansiosa, in sottofondo, disperatamente esorta: 'Su, signora, resista, si faccia coraggio...'”

«L'immagine è troncata dal cartello: “La trasmissione sarà ripresa il più presto possibile”, poi ricompare l'annunciatrice (quella “vera”, Nicoletta Orsomando) che testualmente comunica: “Signore e signori, dobbiamo interrompere la trasmissione de I figli di Medea. Purtroppo non possiamo darvi subito spiegazione, stiamo lottando con il tempo per salvare una vita umana. L'impiego della televisione è stato richiesto dalla polizia che conta sull'aiuto di ogni spettatore. Diamo ora la parola al dottor...”

«È a questo punto che un urlo di richiamo degli spettatori solitari fa accorrere accanto al caminetto telematico interi nuclei famigliari e si snocciolano resoconti e informazioni mentre l'azione, non più classica né mitica, prosegue. “La scena”, riferisce sempre Fantin, “si sposta in un bar (modernissimo) dove Enrico Maria Salerno (personaggio col suo nome) appare sotto scorta della polizia e di uno psicanalista. È stato arrestato per aver rapito e nascosto il suo stesso figliolo malato il quale, se non avrà in tempo certe cure e certe medicine, rischia, appunto, di morire.” Tra appelli del commissario di polizia (che è Tino Bianchi, volto sufficientemente anonimo e poco conosciuto da parere credibile), arringhe di Salerno contro stampa e mass media che travierebbero le giovani coscienze, turbamenti della Valli e tramestii vari nello studio televisivo, apprendiamo che l'attrice è la madre del bambino e che la recita è stata predisposta per attirare il marito in quel tal caffè.

«Per quanto reggono la finzione e la relativa tensione? Non molti minuti dal momento della "sorpresa", giacché presto il complicato marchingegno rivela fratture e inconsistenze. Ma gli effetti sono ugualmente forti e le conseguenze, in certi ambienti, rilevanti. Ricordano le cronache che a Torino centinaia di chiamate piovono sul numero telefonico 696, fornito dalla pseudo annunciatrice televisiva e guardacaso coincidente con quello dell'ospedale delle Molinette, il cui centralino resta per ore intasato, a nocumento delle chiamate urgenti vere. A Roma Rai e giornali vengono sommersi da telefonate tra il solidale e l'angosciato, mentre alcuni funzionari televisivi tornano di corsa al proprio posto in via Teulada per mettersi a disposizione. A Milano i vigili del fuoco – e ne dà notizia con giocoso commento Achille Campanile, allora in veste di critico televisivo – comunicano al Corriere della Sera: “Abbiamo scale che possono arrivare anche all'altezza del ventesimo piano, e siamo pronti a partire subito se possiamo esser utili per salvare il bambino”.

«Come Orson Welles ha pagato a lungo il suo analogo “scherzo” ai tempi de La guerra dei mondi, la trasmissione radiofonica d'anteguerra in cui si simulava l'invasione dei marziani, così i responsabili de I figli di Medea scontano il loro gioco. “La T.V. scatena allarme e panico” titola in prima pagina di spalla il Corriere d'Informazione, mentre l'occhiello precisa: “Ondata di proteste”. Ce n'è per tutti, in primo luogo per la Rai, giacché, a differenza del teatro, del romanzo, del film, in televisione “la divisione delle sfere – commedia e vita, finzione e realtà – non è certo così rigorosa, né la platea ugualmente pronta e selezionata. Dove, volendo, è fin troppo facile ingannare”».

Oh, lo sapevamo (e lo sappiamo) bene!