L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

La cineverità di Gatti

Ha solo 19 anni Marcello Gatti (nato in questo giorno) quando lega il suo nome a quello di Cinecittà, ma non come si potrebbe pensare per uno che diventerà tra i più importanti direttori della fotografia italiani. Lo lega in quel 1943 per aver deturpato sui muri della cittadella del cinema un ritratto di Mussolini: condanna a cinque anni di carcere, poi tramutato in confino, e avvio di una vocazione alla sinistra mai smentita.

Gatti è già da un anno operatore di macchina, ma dovrà attendere il 1953 per la sua prima direzione, Cronaca di un delitto, di Mario Sequi, che già si distingue per un certo tono da reportage. Firmerà oltre 150 film spaziando tra la fiducia accordata a registi esordienti, magari sfortunati, e la confezione di pellicole di genere, specie poliziotteschi, ma sempre con un occhio di riguardo alla notazione ambientale, alla verità fotografica, al dettaglio allusivo.

Padrone come pochi del colore (riceverà un Nastro d'argento per Anonimo veneziano, 1970, di Enrico Maria Salerno) dà tuttavia il meglio di sé in due grandi film in bianco e nero, dei quali può almeno considerarsi coautore: Le quattro giornate di Napoli (1962, di Nanni Loy, Nastro d'argento) e La battaglia di Algeri (1966, di Gillo Pontecorvo, Leone d'oro). In entrambi, il senso di realtà diventa senso di verità grazie alla sua perfetta penetrazione dell'ambiente, si tratti dei vicoli partenopei o di quelli della casbah, sia con macchina ferma a testimoniare sia con macchina mobilissima tesa a catturare, sia con pellicola limpidissima sia con pellicola sgranata.

Ma sa imprimere il proprio segno anche in altre opere pregevoli, pur se molto diverse tra loro. Anzitutto quelle dell'amico Pontecorvo (Queimada, 1969, e Ogro, 1979), su temi a lui cari, come lo sono Un giorno da leoni (1962, di Nanni Loy), Sierra Maestra (1969, di Ansano Giannarelli, Nastro d'argento), Girolimoni, il mostro di Roma (1972, di Damiano Damiani), Rappresaglia (1973, di George Pan Cosmatos) o Cronaca degli anni di brace (1975, di Mohammed Lakhdar-Hamina, Palma d'oro a Cannes), girato nella medesima Algeri.

Non poteva essere estraneo alla televisione, ma ci piace ricordarlo – più che per il Mosè (1974, di Gianfranco De Bosio) o per tre serie La piovra (1990-1995, di Luigi Perelli) – per lo Specchio segreto di Nanni Loy, altro nome cui fu legato. C'era lui nel 1964 dietro quella macchina da presa ancora una volta impegnata “candidamente” a svelare la verità.

.