L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Oriana va alla Mostra

Questa rubrica affronta il secondo anno di vita, con qualche novità. Alternerà infatti puntate completamente nuove ad altre reloaded, ovvero ricaricate e aggiornate, spesso con notevoli incrementi. Tanto perché l'informazione curiosa, il “divertimento” e, se del caso, la cattiveria non manchino.

Si inaugura la XVII Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, sotto la nuova direzione del musicologo Floris Luigi Ammannati (al posto dell'ancor più anodino Ottavio Crose). Tra i film in concorso (ma quell'anno il Leone d'oro non verrà assegnato) si segnalano L’arpa birmana di Kon Ichikawa, Prima linea di Robert Aldrich, Dietro lo specchio di Nicholas Ray, La traversata di Parigi di Claude Autant-Lara, presente al Lido il celebrato protagonista Jean Gabin. Ma già allora quel che conta è il red carpet, specie se ce lo racconta un'altra diva, ma del giornalismo, Oriana Fallaci.

«Arrivò Igor Stravinskij e nessuno lo riconobbe. “Chi è?” si chiedeva la folla assiepata davanti al Palazzo del Cinema. […] “Sarà un ministro, che te ne importa?” Arrivò Emma Gramatica, minuscola e curva, la faccia appuntita incisa di pieghe come una cartavelina spiegazzata, ma era nascosta da altra gente e pochi la videro. Arrivò Heinz Rühmann, l’interprete del Capitano di Köpenick, e nessuno se ne accorse. Rühmann è uno degli attori più bravi del cinema tedesco. A colpo d’occhio si direbbe un signore qualsiasi perché è timido, bruttino, di mezza età. Eppure la sua arte è stata paragonata a quella di Charlot [...]. Nemmeno uno gli batté le mani. Poi arrivò Mike Bongiorno, con la faccia appena spalmata di cerone, corrucciato, occupatissimo a mordicchiare, estrema raffinatezza, una pipa bianca come lo smoking. E questa volta le ragazzine si misero a urlare. “Mike, sei bello!”, ripetevano con le voci roche. Mike sostò in cima alla gradinata, agitò la mano destra come il leader di un partito, sorrise. Aveva conquistato definitivamente la patente di divo.

«Arrivò, infine, Gina Lollobrigida e dalla folla si levò un urlo immenso. Le transenne di ferro rischiarono di essere rotte come fuscelli, i 156 poliziotti impegnati ad arginare i corpi furono sul punto di cedere alla spinta. Gina scese da un tassì accompagnata da Milko Skofic [suo marito] e da una guardia del corpo. Milko aveva la faccia annoiata. Gina indossava un abito di raso verde-acqua, luccicante di pagliette, esibiva guanti rosso-sangue e nemmeno un gioiello sul collo. Era in ritardo di soli 24 minuti. L’anno avanti Sofia Loren aveva fatto aspettare oltre un’ora e qualcuno s’era indignato. Lei, invece, aveva saputo concordare con astuzia il gusto di farsi attendere e i limiti della buona creanza. I fotografi le si precipitarono addosso. La guardia del corpo la circondò in un cerchio di braccia. Ormai non si vedevano più che i suoi riccioli neri allungati a zazzerina, gli immensi occhi stupefatti e le labbra carnose. […] “Largo, largo”, supplicava qualcuno. Nessuno ubbidiva. “Vuoi staccarti da lì?”, diceva in francese una voce femminile. Era la moglie del pianista Arthur Rubinstein che tirava per la giacca il marito. Lui scuoteva le spalle, irritato: “Voglio vedere la Lollobrigida”. Nessuno si curava degli altri. Quando raggiunse la sua poltrona, nella prima fila della galleria, tutta la platea si alzò in piedi ad applaudire, come un tempo si faceva a teatro quando un monarca si affacciava dal palco Reale» (da L'Europeo).