Ping Pong

Ping Pong

Una storia vera (18)

Alvin conta i soldi che gli sono rimasti: “45. Solo 45 dollari” (siamo al minuto 65).

Uno stacco e lo ritroviamo in piedi a bussare alla porta col bastone. È grato per l'ospitalità ma non vuole essere invadente. Tiene una certa distanza tra sé e quella casa, l'intimità domestica di quella famiglia (per Alvin l'intimità domestica è una cosa preziosa, quasi sacra).

Ha bisogno del telefono ma non ha nessuna intenzione di entrare. Il padrone di casa insiste, è un po' sorpreso dalla sua ostinazione, ma poi va a prendere il telefono e glielo porta fuori, in “casa sua”. Alvin è in viaggio e lì vuole rimanere, la sua “domestica intimità” la porta addosso.

Chiama sua figlia (ha bisogno dei soldi della pensione) e noi ci ritroviamo in casa con Rose, la sua casa, la nostra casa: “Sono così contenta”, dice lei, e la sua immagine è associata a quell'altra famiglia, che guarda Alvin dalla finestra. Lui non vuole entrare, noi invece stiamo lì ad ascoltare: “La riparazione gli costerà parecchio”; “Poteva rimetterci la pelle”; “Non sta tanto bene”.

Alvin sta usando un cordless, la sua Rose invece ha un vecchio telefono e deve allungare il filo per andare a cercare una matita: il filo attraversa tutta l'inquadratura, è come se fosse il segno del loro legame, solido, concreto, che si può allungare e deformare ma non si spezza mai. Alvin se la ride, è un momento di simpatica domestica intimità, come ne ha vissuti tanti con sua figlia.

“Le colline aumentano andando verso il Mississippi”, dice in montaggio alternato l'uomo che l'ha ospitato (che magnifico uomo!). Sua moglie lo bacia, prima ancora di dire qualcosa, e noi li amiamo tutti e due: è gente d'altri tempi, proprio come Alvin, generosa, vera. “Potresti accompagnarlo in auto”, dice lei, proprio quello che lui vorrebbe sentirsi dire. Che bella umanità in questo film di David Lynch! “Sei un brav'uomo Danny, ti ho sposato per questo”. Affetto, calore.

“Mi manchi, papà”, dice Rose, dopo uno stacco, “Ti voglio bene”, risponde Alvin, con la mdp che si avvicina appena, per sottolineare il sentimento. Ancora più affetto, ancora più calore. “Ciao papà”, dice alla fine Rose, quando ha già attaccato il telefono, l'emozione (un'emozione semplice, domestica, quella procurata dalla lontananza della persona che ami) è troppo forte per essere contenuta dentro lo spazio di una telefonata, e David Lynch vuole prolungarla almeno un po': anche Alvin rimane col telefono in mano, muto, e sorride con le lacrime agli occhi. È bello avere qualcuno da amare.

Stacco. Il dettaglio del telefono appoggiato per terra sopra un po' di banconote. Il telefono costa e Alvin ci tiene a pagare. Lo ritroviamo in giardino, dove si è accampato. Danny lo raggiunge e chiede ospitalità, prende una sedia, è "in casa di Alvin", là fuori, anche se è nel suo giardino.

I due uomini si apprezzano senza troppe smancerie, il non detto passa chiaramente attraverso le parole che si dicono: il costo della riparazione, l'offerta di accompagnarlo in auto. Lui ovviamente rifiuta (cortesemente): "Grazie, ma voglio andare fino in fondo a modo mio". Danny è dispiaciuto ma lo capisce benissimo, lo ammira. Prova ad accendersi una sigaretta, dentro un silenzio denso, pieno di significato: sembra davvero di vivere in altri tempi (in un altro modo di vivere il nostro tempo?), quando i silenzi avevano un valore, non erano il segno del vuoto diffuso, il rumore della mancanza di senso. Alvin lo aiuta col suo sigaro. Sono seduti uno accanto all'altro. Danny ci riprova: "Le colline sono molto alte". E Alvin: "Tu sei un uomo molto gentile, ma stai parlando a un uomo molto testardo". 

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