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(dis)Sequenze#18 - Kogonada e il superamento della scrittura

Kogonada (regista e videoartista coreano celebre per i suoi videosaggi e i suoi supercut, ndr) è probabilmente il maggior responsabile di un'impasse che negli ultimi due anni mi ha costretto più volte a riflettere, e che lentamente mi ha condotto verso una progressiva sfiducia nella possibilità che la parola scritta possa stare criticamente al passo con l'immagine cinematografica. Sfiducia che – estremizzando – ultimamente è diventata una salda convinzione, malgrado ogni tanto aggiorni questa rubrica.

 

Kogonada ha lavorato per «Sight & Sound» e per la Criterion Collection e anche, molto, per se stesso. I suoi video-saggi, che lui definisce, schermendosi, una via di mezzo tra il bricolage e il sushi, fatti individuando delle costanti, isolandole, decostruendole e ricomponendole per creare un nuovo insieme dialettico proposto con l'euritmia del videoclip, paiono dire più di mille parole sullo stesso argomento in un tempo infinitamente più limitato. E se l'equazione non inganna, in un'epoca eminentemente fondata sull'immagine, in cui la comunicazione s'è fatta istantanea e il tempo, anche se non sempre è denaro, non va sprecato perché le romantiche flânerie sono state espunte radicalmente dal nostro tessuto sociale con l'accusa di improduttività, un video di Kogonada sulla differenza di concezione – per esempio –  tra Neorealismo e pratica hollywoodiana dice tutto ciò che deve dire in neanche cinque minuti. E lo fa meglio di qualunque articolo o di qualunque saggio esistente sull'argomento. Non tanto a causa della qualità dell'ipotetico scritto, quanto per la possibilità di unire in un unico istante critico e percettivo la chiarezza della spiegazione all'evidenza delle immagini che ne forniscono la dimostrazione effettiva. In soli cinque minuti, come si diceva.

 

Poi capita che Kogonada, grazie all'allenamento fatto in questi anni con le piccole perle di sushi-bricolage, realizzi il suo primo film da regista. Film narrativo, non un video-saggio. Di un'ora e quaranta, non di cinque minuti: Columbus, su un figlio che torna a casa per l'imminente morte del padre e lega con una ragazza della cittadina, appassionata di architettura. Lo vedi e noti tutto ciò che Kogonada ha già estrapolato nelle sue clip, quelle su Ozu, su Bergman, su Wes Anderson, come se fossero una grande enciclopedia del suo sapere cinefilo.

 

Non temete, non ne voglio parlare, contraddicendo tutto ciò che ho scritto fino adesso. Qui sotto però c'è un video, che, nel suo piccolo, rende omaggio all'esordio di un nuovo artista, che ha realizzato un film particolarmente interessante, per ciò che soggiace come ispirazione e per la qualità delle inquadrature proposte. È l'unico modo, forse, per parlare di un prodotto di Kogonada. Il suo modo. Che questa rubrica cerca soltanto di scimmiottare. Per gioco e coltivando una remota speranza.