Infedelmente tua - Unfaithfully Yours di Preston Sturges

archives top image

In occasione dell'uscita della versione restaurata di Infedelmente tua - Unfaithfully Yours di Preston Sturges, in sala dal 30 marzo per Lab 80, siamo andati in archivio a rileggere un Flashback firmato da Giorgio Cremonini sul n. 272 di Cineforum del marzo 1988. Si parla non solo del film di Sturges, ma anche del cinema americano degli anni '40, dei tempi bui del maccartismo e ancora delle forme narrative del comico e della commedia. In poche parole, una vera e propria lezione di cinema. (anche in pdf).


Ha perfettamente ragione Comuzio a sottolineare le difficoltà d’una definizione dei genere commedia: il discorso non vale tanto nei confronti di generi come il mélo e l’avventura, con cui ha spesso più di un’affinìtà sui piano narrativo ma anche sintomatiche differenze sui piano espresssivo, quanto nei confronti del comico, intuitivamente si potrebbe dire che il comico fa ridere, la commedia fa sorridere, ma bisognerebbe poi anche spiegare perché.

Comico e commedia

Cominciamo con le analogie, che sono peraltro più che evidenti e sottolineate dal fatto che gli americani raggruppano i due generi sotto l’unico termine di comedy, in entrambi i casi, salvo le solite eccezioni, il plot si orienta verso quella che Northrop Frye definisce la «integrazione della società che, normalmente, assume la forma dell'ncorporazione di un personaggio centrale nella società stessa». Poiché tutta la narrativa corrisponde a una dialettica di equilibri/squilibri «gli ostacoli posti ai desiderio dell’eroe dànno vita all’azione della commedia e il loro superamento forma la risoluzione comica», giacché «la commedia procede di solito verso un lieto fine (...) provocato da un’improvvisa variazione della trama (...), alla quale generalmente il pubblico reagisce dicendo ‘cosi dovrebbe essere’».

Più specificamente Gerald Mast elenca otto modelli di comic plots, che cercherò qui di riassumere: 1. il classico boy meets girl (incontro perturbatore d’un ordine preesistente); 2. la parodia intenzionale di altri film o altri generi, con tutta la relativa casistica; 3. la reductio ad absurdum ovvero la messa in caos d’una situazione, ovvero ancora il trionfo, quanto meno temporaneo, degli ostacoli e del disordine; 4. l’indagine su un particolare corpo sociale (corrispondente alla televisiva situation comedy, ma anche a molta slapstick; 5. il viaggio d’un eroe picaresco, con tutti gli ostacoli che dovrà superare; 6. la variazione (dei gag) attorno ad un tema di partenza assai elementare (schema tipico della slapstick comedy, modello Sennett); 7. l’impatto fra un personaggio e situazioni alle quali non è preparato (modello comune anche al mélo e al racconto d’avventure, che sintetizza l’impatto fra tensione e ostacolo); 8. storia d’un persoriaggio che scopre un proprio errore commesso in precedenza, che diventa a sua volta l'ostacolo.

Se si eccettuano i modelli 1 e 6, che sembrano esclusivi del comico, gli altri possono essere tranquillamente attribuiti anche alla commedia, oltre che ad altri generi. Se si considerano i generi come codici d’ordine narrativo, ci si ritrova spesso di fronte a contaminazioni evidenti, a strutture intercambiabili. In realtà, e non solo per quanto riguarda la distinzione comico/commedia, il problema non è che in minima parte narrativo, ma piuttosto strutturale: investe non una tipologia di storie, ma il modo stesso di raccontare.  Azzarderò al riguardo un'ipotesi: che nel comico l’azione sia completamente subordinata alla logica del gag e nella commedia accada il contrario.  Nel comico il racconto si disfa, si slabbra, viene sostituito da una catena di gag (o azioni) che non agiscono secondo principi narrativi, ma seguendo un ordine ritmico proprio attorno ad un nucleo-base (un personaggio o una situazione); di contro nella commedia i gag, che pure devono esserci, funzionano all’interno d’una trama, la arricchiscono, la completano, ma non ce la fanno mai dimenticare: ne fanno parte e sono inscindibili da essa. Il comico distrugge la narrazione, la commedia la istituisce.

La commedia negli anni '40

Da questo punto di vista, anche se ‘contaminato’ da divagazioni nel campo del comico (d’altra parte ogni classificazione in generi è elastica e non stabilisce confini sempre rigidi o sempre rigorosamente rispettati), un film come Infedelmente tua di Preston Sturges è indiscutibilmente una commedia, anzi una commedia esemplare, Certo non l’unica. Si dovrebbero ricordare, del decennio, anche Frutto proibito (The Major and the Minor, B. Wilder, 1942) e Ero uno sposo di guerra (I Was a Male War Bride, H. Hawks, 1949), dove, tra l’altro, compare un elemento tipicamente comico come il travestimento (quasi sempre visto come espediente di superamento che si ritorce in ostacolo); Ho sposato una strega (I Marrried a Witch, R. Giair, 1942), Accadde domani (It Happened Tomorrow, R. Clair, 1944) e La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life, F. Capra, 1946), dove si osserva la contaminazione fra commedia e fantastico (anche qui l’espediente diventa ostacolo, come apprende Dick Powell finendo in prigione perché conosce il futuro, o James Stewart che crede di risolvere i suoi problemi augurandosi di non essere mai nato); Il cielo può attendere (Heaven Can Wait, E. Lubitsch, 1943) e Monsieur Verdoux (id, C. Chaplin, 1947), dove la commedia, ruotando attorno al mito comico-tragico di Don Giovanni, si tinge più o meno scopertamente di nero; ma anche Colpo di fulmine (Ball of Fire) e Venere e il professore (A Song Is Born, H. Hawks, 1942 e 1948, come tutti sanno, si tratta di due versioni dello stesso film); Fra le tue braccia (Cluny Brown, E. Lubitsch, 1946), Scandalo internazionale (A Foreign Affair, B. Wilder, 1948), Il magnifico scherzo (Monkey Business, H. Hawks, 1952), dove l’ostacolo è la “scoperta” della giovinezza – per non parlare di Lady Eva (The Lady Eve, 1941) dello stesso Sturges.

Film diversissimi fra loro e tuttavia anche simili, per lo scarto fra ‘realtà’ e ‘fantasia’ che mettono in scena: dal giornale del giorno dopo di Clair al ‘se io non fossi nato’ di Capra, dalla doppiezza dei personaggi wilderiani a quella di Eva e fino allo sdoppiamento ‘chimico’ dei personaggi hawksiani, è sempre in gioco un mondo a due facce, equivoco, mai completamente rassicurante.  Nemmeno l'happy end, figura quasi d’obbligo nel genere, garantisce il futuro. Certo, fra il protagonista e l’altro è quest’ultimo a vincere, ma quello che rimane è un mondo in bilico, in cui è bastato, basta e sempre basterà un ‘niente’ a introdurre il caos. E paradossalmente quanto più il film cerca di convincerci della ricomposizione dell’ordine perduto, tanto più incredibile e a tratti patetico riesce l’ottimismo della conclusione. Ce lo insegnerà abbondantemente Wilder, ce l’ha già insegnato Keaton — ma il trucco appare scoperto anche in Infedelmente tua: quell’happy end, quell’abbraccio quasi teatrale di fronte ai ‘comprimari’ che osservano compiaciuti, quella frase così romantica — ci si può davvero credere?

La storia del film

Caos dei sentimenti in Infedelmente tua. Il celebre direttore d'orchestra Alfred Carter è perdutamente innamorato di sua moglie Daphne, solo che, in procinto di partire per un concerto, raccomanda a suo cognato di «darle un’occhiata» in sua assenza; questa è però solo la versione di sir Alfred, il cognato sostiene che lui si è raccomandato di «tenerla d’occhio»: lapsus fondamentale, forse freudiano (sarà poi vero che sir Alfred ha detto proprio cosi?), che va ben oltre la macchina narrativa dell’equivoco, che mette in moto un altro ingranaggio, assai più potente. Infatti, sulla scia dell’equivoco, il cognato ha sguinzagliato un detective sulle piste di Daphne. Il rapporto perviene a sir Alfred che, irritato, non vuole nemmeno leggerlo: prima cerca di stracciarlo, poi gli dà fuoco, riuscendo ad appiccare un in cendio nella propria stanza d’albergo (al suono dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini). Siamo già in pieno caos; alle intenzioni non corri spondono più i gesti. Qualcosa si è incrinato nell’equilibrio di sir Alfred e infatti una frase che sfugge al detective (secondo equivoco) fa nascere in lui il rovello della gelosia e questo si traduce immediatamente incertezza del tradimento.

Il sospetto invade sir Alfred ed alla sera, durante il concerto, egli immagina tre diversi modi di vendicarsi: dirigendo l’ouverture della Semiramide di Rossini, uccide la moglie e riesce a far incolpare del delitto il suo presunto amante, il segretario Anthony; dirigendo l’ouverture del Tannhäuser di Wagner, perdona la moglie ed anzi le dona un assegno di centomila dollari affinché non abbia preoccupazioni finanziarie; dirigendo infine l’ouverture di Francesca da Rimini di Tchaikowsky, sfida lei e Anthony alla roulette russa, ma è lui il primo a restarne ucciso. Da uno stato d’animo esaltante sir Alfred passa così ad una rassegnata e molto inglese signorilità e poi ad una sempre più cupa depressione; il facile supermento degli ostacoli nei primi due casi si rovescia in fallimen to totale nel terzo. Il concerto finisce e sir Alfred torna in albergo, dove tenta invano di mettere in pratica il primo dei tre progetti (il grammofono su cui questo è basato non funziona, ecc). Ora gli ostacoli sono ‘concreti’, gli oggetti non rispondono o rispondono male. Quando anche Daphne fa ritorno, lui la perdona, ma lei non sa di che cosa e lui non trova nemmeno l’inchiostro per firmarle l’assegno. Allora estrae la rivoltella dal cassetto, ma scopre che in casa non ci sono proiettili. È a questo punto che, parlandone quasi casualmente, sir Alfred ottiene la prova della effettiva fedeltà della moglie (l’improvvisa variazione di cui paria Frye).  L’abbraccia e le dice; «Mille poeti sognarono per mille anni. Poi nascesti tu, mio amore».

La musica e la parodia

Come si può vedere, si osservano in Infedelmente tua alcuni dei modelli elencati da Mast e precisamente la reductio ad absurdum (lo sconvolgimento di un mondo pacifico ad opera di un elemento intruso; la gelosia suggerita a sir Alfred, l’impatto personaggio/situazione (sir Alfred è del tutto impreparato agli avvenimenti che gli si prospettano), ma anche la variazione sul tema (i tre ‘progetti’ di sir Alfred) e l’elemento parodico che compare in più vesti; la variazione sul tema classico di Otello, le tre diverse ‘letture’ dei brani musicali e il contrasto fra la perfezione dei progetti e la realtà.  Il concerto diretto da Sir Alfred, attorno al quale ruota il film, comprende, come si è accennato, La Semiramide, che dopo tutto è anche la storia di un uomo che viene incoronato, benché colpevole d’un omicidio per il quale viene condannato il suo rivale, il Tannhäuser, vero e proprio tema del perdono, e infine un classico mélo come Francesca da Rimini, dove tuttavia si osserva un significativo rovesciamento. Mentre infatti aspettiamo che sir Alfred ‘faccia giustizia’ dei due adulteri, è lui a restare ucciso; una parodia nella parodia, dunque. I tre brani ricompaiono poi ad accompagnare i goffi tentativi di sir Alfred di muoversi in una ‘realtà’ che è assai diversa da quella immaginata e sottolinenanp cosi la continuità del confronto fantasia/realtà giocata attorno al tema classico del comico in generale, quello dell’incapacità a svolgere l’azione cui si è chiamati, ma qui ristretti nel campo del sospetto. La sconfitta nella realtà decreta la caduta di una impalcatura fondata sui sospetto e sulla sua falsità. Lo sfasamento è sottolineato ironicamente da un uso delle luci che nelle immagini cosiddette reali è molto più con trastato e sinistro, quasi una citazione espressio nista, che in quelle di fantasia. Dopo tutto non è tanto l’immaginazione di sir Alfred ad essere in gioco, quanto la sua realizzazione. Al di là della parodia, Infedelmente tua mette in scena una storia di contagio che arriva fino in fondo, fino a corrompere appunto la realtà.

La parodia è propria sia del comico che della commedia; solo che il primo dà per scontato il referente del suo essere parodico, mentre la seconda lo iscrive nel testo. I tre brani musicali citati dal film non funzionano solo come accompagnamenti dei tre progetti di sir Alfred, ma, nella seconda parte, come demistificazione dei suoi tenativi di metterli in pratica. Allo stesso modo la goffaggine di Rex Harrison (che non è un comico) è tale solo se confrontata alla perfezione stereotipica della sua immaginazione. Vale a dire che la seconda parte del film (la ‘realtà’) funziona solo in quanto c’è la prima (la ‘fantasia’), mentre in un film comico avremmo solo la seconda, ovvero un mondo in cui referente e parodia sarebbero indistinguibili. Infedelmente tua è un film in cui i legami narrativi interni valgono più dell’occasionalità dei singoli gag; quando Rex Harrison dà fuoco all’albergo, ci troviamo di fronte ad una tipica situazione da farsa, ma questa assume un carattere ben diverso se inserita nel contesto narrativo, se riconosciuta come ‘avvento’ del caos in conseguenza del sospetto, dello scambio fantasia/realtà. Allo stesso modo, tutti i tentativi del protagonista di mettere in pratica i suoi desideri hanno un senso proprio in quanto risposta ai desideri stessi. Il livello di significazione dominante è, come sempre nella commedia, quello narrativo.

Le incertezze e il sospetto

Se Infedelmente tua si limitasse a scherzare sulla gelosia, il gioco sarebbe sin troppo facile. In realtà attraverso di esso Sturges mette in luce un fondo globale e inquietante di incertezza, la debolezza dei sentimenti, la loro disponibilità al contagio, la precarietà dei rapporti in un mondo che non tollera né gli uni né gli altri. Almeno all’apparenza, il film mostra un’astrazione molto superiore a quella del precedenti film di Sturges.  Non sono ad esempio più riconoscibili, se non marginalmente (nella coppia dei cognati, ad esempio), quei tratti satirici che davano a plot e personaggi una referenzialità ed una concretezza (a tratti una esplicita grossolanità) estranee al mondo un po’ fatuo della sophisticated comedy degli anni '30. La gelosia di Rex Harrison, per dire, non regge il confronto, in quanto a referenti, con il perbenismo decisamente stupido di Henry Fon da in Lady Eva: è un sentimento più generico, più astratto, non disegna un mondo socialmente definito, come invece richiederebbe la satira. Né i personaggi che lo circondano sono in grado di restituirci un ‘insieme’ all’altezza di quello di Ritrovarsi (The Palm Beach Story, 1942) o di Il miracolo del villaggio (The Miracle of Morgan’s Creek, 1944). Allo stesso modo non vi ritroviamo né l’aggressività di The Great McGinty, 1940, né lo sberleffo ambiguo ma fondamentalmente crudele de I dimenticati (The Sulllvans’s Travels, 1941).  La crudeltà non manca neppure in Infedelmente tua (ma essa è una proprietà ancora una volta comune e al comico e alla commedia), solo che si inserisce in un circuito di significazione assai più stilizzato — e apre in questo modo la strada ad un’altra lettura, meno fondata sulla caricatura marginale e sui gag, più essenziale. Se I dimenti cati, Lady Eva e II miracolo del villaggio potevano essere, tra l’altro, la caricatura d’una radicale e americana ingenuità. Infedelmente tua mette in scena esattamente il suo opposto. La commedia si tinge di nero perché in fondo quelli sono anni neri: certo, riconosciamo sì la classica molla dell’equivoco, ma si tratta di una figura marginale, appena sfiorata, che Sturges lascia cadere quasi subito, perché ciò che gli interessa è la sua conseguenza, il sospetto. Tutto il film gioca sulla messa in scena dei falso, di ciò che viene creduto solo perché è stato detto. In questo modo mette in scena un processo di invasione: la mente e la ‘realtà’ corrotte da un sospetto che è, come vuole la tradizione del ‘dramma della gelosia’, impost to sul vuoto (l’equivoco è la menzogna delle situazioni).

Sturges rielabora per tre volte, reitera quasi ossessivamente il sospetto, il prevalere d’un mondo immaginario su quello concreto, ma soprattutto lo sgretolamento di quest’ultimo. Perché l’immaginario di quegli anni aveva un grosso potere devastatore. Pensare ai maccartysmo diventa inevitabile, non perché Infedelmente tua lo assuma in qualche modo come referente, ma piuttosto perché è nell’aria, ovvero nei segni. Non dimenti chiamo che la Lista Nera si esplicita per la prima volta (ovvero porta al culmine un lungo processo precedente) nel dicembre del 1947, colpendo anche quel Lionel Stender chiamato da Sturges a rivestire in questa commedia più acre che dolce un ruolo di secondo piano ma accattivante e ‘positivo’, quello dell’impresario di sir Alfred. Conoscendo Sturges, a tutto si può pensare fuorché a una coincidenza.