Venezia 1999: Ronde amorose nella Manhattan del 700

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Chiudiamo la carrellata veneziana ricordando un importante anniversario, il quarto di secolo della presentazione al Festival di Venezia dell'ultimo capolavoro di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut. Del film non diciamo nulla, chiunque l'abbia visto sa di quale vetta d'arte stiamo parlando (e non temiamo di esagerare nell'uso di tali definizioni). Rimandiamo senz'altro allo speciale a più voci che uscì poi su «Cineforum» n. 389, novembre 1999, a seguito della distribuzione italiana del film: una monografia vera e propria di cui riproponiamo la prima metà del contributo di Emiliano Morreale. Così come rimandiamo più che volentieri alle pagine relative al film del volume di Emilio D'Alessandro, per anni braccio destro del regista, e Filippo Ulivieri Stanley Kubrick e me, formidabile e affettuosa visione dall'interno del processo creativo kubrickiano.

 

«Cineforum» n. 389, novembre 1999

Speciale Eyes Wide Shut

Macrofisica del potere

 

Emiliano Morreale

 

Alla morte di Stanley Kubrick, sotto il cui segno è impossibile non leggere questo film, si sono riproposti e amplificati alcuni gravi equivoci sulla sua opera. Tv e quotidiani hanno presentato la figura di un geniale rilettore dei generi, ipocondriaco e ossessivo, senza riuscire a far capire perché, al di là del suo antimito, Kubrick fosse un grande regista. Specularmente, alla sua uscita Eyes Wide Shut affrontava il più grande fraintendimento critico cui il cinema di Kubrick fosse andato incontro dai tempi di Lolita.

È giusto così. Segno che il cinema di Kubrick è vivo, e migliore del proprio tempo (ammesso che il proprio tempo stia nella massa dei critici da rotocalco). Il paradosso è, però, che mai come in questo film Kubrick ha aspirato, se non a una comunicazione chiara, a un discorso diretto. Diretto e ambiguo: Eyes Wide Shut è il film più difficile realizzato da Kubrick. Il più ostico, respingente, il meno seduttivo. Non è facile amarlo, proprio per le stesse ragioni per le quali non è facile spiegare la grandezza di Kubrick. Che qui è nuda. Non c'è il genere (non il mélo, sicuramente), non ci sono le psicologie (un film psicologico su un protagonista stupido è una contraddizione in termini). Il gelo e la morte, la beffa sovrastano il film. Una volta tanto, leggere un film alla luce della morte del suo autore è, oltre che inevitabile, quantomai fecondo.

Stanley Kubrick è il regista che più in profondità ha indagato le dinamiche del potere, seguendolo nelle sue articolazioni, nel conflitto tra il desiderio e le istituzioni, tra la Storia e il fondo nero dell'uomo, nelle sue mutazioni e metamorfosi, nei suoi scorrimenti sotterranei e nelle sue esplosioni violente. Per Kubrick raccontare l'uomo ha sempre significato raccontare il potere: la storia dell'uomo non è che storia di rapporti di potere. Siano essi quelli di classe e gerarchici (Orizzonti di gloria, Spartacus), sessuali e del desiderio (Lolita), politici e culturali nel senso della cultura di massa (Arancia meccanica) fino a una visione sintetica sulla storia (Barry Lyndon). Nessun dubbio per Kubrick che ci sia in questo percorso una fortissima spinta all'autodistruzione (Il dottor Stranamore, ma anche il percorso luttuoso di Rapina a mano armata), e che su questo sfondo vadano visti anche i due film di fuoriuscita dalla Storia e dal Potere, o meglio di confronto tra quell'uomo, indagato con precisione nei film citati, e ciò che sta fuori di esso: Shining e 2001: Odissea nello spazio.

Eyes Wide Shut è, nel suo muoversi dentro i più profondi meccanismi di potere nel suo denudarli, erede diretto di Arancia meccanica. E il più crudamente e profondamente “politico” tra i film di Kubrick, quello che ha la pretesa forse di dire quel poco (o quel moltissimo) che Kubrick ritiene di avere imparato sul mondo che ci circonda. La novità che aggiunge stavolta è che non solo la Storia è sempre storia di rapporti di potere, ma che, nella loro forma essenziale, questi rapporti di potere sono sempre alla fine potere sui corpi altrui. La scena dell'orgia è ciò che si troverebbe grattando la crosta di una trasmissione prime-time, è una sfilata di moda al grado zero (le attrici sono top model, e vengono fatte ancheggiare come tali), ma è anche Auschwitz. È il potere che mette in scena se stesso senza mediazione, il proprio volto osceno, la propria violenza e insieme la sua stilizzazione. Eyes Wide Shut è un film popolato di servi, domestici, camerieri, sottoposti: la baby sitter portoricana, la serva filippina di casa Nathanson, il maggiordomo anziano che recapita il messaggio, i buttafuori e gli accompagnatori del castello. E quasi tutti i rapporti sono rapporti tra servi e padroni: la segretaria del dottore, il pianista Nightingale, il tassista, la prostituta strafatta e quella morta vengono sempre in qualche modo pagati dal protagonista o da suoi pari. Il personaggio di Cruise è anzitutto un soggetto di potere. A questo punto, anche la figura della moglie (che non lavora, sta in casa, non fa nulla) è inevitabilmente tinta di questa tonalità.

Eyes Wide Shut è un film di fantascienza e di filosofia della storia, ma è anche e innanzitutto un grande film, un'ipotesi di film definitivo, sulla borghesia, a partire da una prospettiva eccentrica come la sessualità. Una scelta che a posteriori appare quasi obbligata per un così sottile analista del potere; Kubrick non ha bisogno di Foucault, e gli bastano i suoi autori del 700 per sapere che «la sessualità è originariamente, storicamente borghese» e che un film sulla sessualità è anche un film sulla borghesia. Eyes Wide Shut è “Barry Lyndon nel 2001” (Cruise è monocorde e inespressivo come Ryan O'Neal, il suo percorso non è più di “ascesa e caduta” da Rake's Progress, ma di discesa “al di là del principio di piacere” in un mondo che egli non domina più e che gli sfugge di mano, lo sovrasta e lo annichilisce). Il potere è in effetti anzitutto potere sui poveri e sulle donne, sul corpo dei poveri e sul corpo femminile. Nella prima parte dell'orgia sono i corpi di donne a essere sottomessi; solo in un secondo momento gli intrecci di corpi si ingarbugliano e troviamo uomini in posizione di vittima, ma volontariamente, come forma di perversione. Kubrick è certo un regista misogino (ma in quanto misantropo), e si può discutere sul ruolo di garante della consistenza corporale attribuito alla Kidman. Purché sia chiaro che appunto di consistenza corporale e non istituzionale (familiare) si tratta: la Kidman è innanzitutto un corpo e un desiderio, si deodora le ascelle, orina e si asciuga il sesso, barcolla e sogna, invadendo le fantasie del marito. Alla fine è lei a preservare la possibilità di un corpo non offeso e desiderante, di un fondamento minimo di morale e consistenza laica e materiale. Al «Per sempre» del marito nel finale, risponde: «Non usiamo quella parola», una delle poche aggiunte di Kubrick alla conclusione di Schnitzler; l'altra, sempre affidata alla Kidman, è «Scopare» (nonostante tutto, verrebbe da dire).

Per continuare su questa linea, un po' provocatoria, della ricostruzione del “messaggio”, diremo che la cosa importante in questo discorso è che esso viene condotto da Kubrick da una posizione sì moralista, ma di moralismo assolutamente laico, ateo e materialista. Nel senso non del materialismo storico, ma proprio in quello del sensismo settecentesco. Neanche in questo film Kubrick rinuncia a usare il 700 come guida. Molto più della Mitteleuropa di Schnitzler, è il 700 il referente intellettuale di Eyes Wide Shut: e del resto Schnitzler è il più “settecentesco” dei mitteleuropei, con i suoi marivaudages e giochi dell'amore e del caso (Girotondo) o racconti come Il ritorno di Casanova (e lo stesso Doppio sogno è costruito su una imagery in parte implicitamente settecentesca, fin dall'inizio con l'apparizione delle figure in domino rosso). Samuel Johnson, Gainsborough, soprattutto Swift: da Orizzonti di gloria a Stranamore, da Arancia meccanica a Barry Lyndon, il 700 è ciò a cui sempre Kubrick torna per sciogliere, o complicare, i temi (come nella morte di Humbert in Lolita o nella Wunderkammer del finale di 2001). Ma stavolta è più il 700 degli ideologues: non solo la combinatoria dei corpi di Sade, dunque, ma anche l'idea dell'«Uomo macchina» di La Mettrie, e insomma tutti coloro che rifiutano l'esistenza di un'anima e si mantengono fedeli a un sensismo radicale. È il 700 degli automi e del rapporto tra potere e organizzazione dei corpi, riletto tacitamente da Kubrick. Anche per Kubrick «l'anima non è un'ipotesi necessaria», l'uomo è un impasto ambiguo di pulsioni e finzioni, di costruzioni sociali e abissi; ma la sua visione etica della civiltà umana, pur non condotta dal punto di vista di una morale cristiana o kantiana, è nettissima e quasi didattica. (La Vienna di Schnilzler è ancora più chiaramente del 700 un equivalente della “borghesia”, e anzitutto sotto il segno di Freud. Uno dei progetti mancati di Kubrick è l'adattamento di Bruciante segreto di Zweig, e uno dei riferimenti fondamentali di Kubrick è stato da sempre Max Ophuls, adattatore di Liebelei, Girotondo·e Lettera da una sconosciuta da Zweig, anche se in questo caso non bisogna dimenticare Eric von Stroheim che in una celebre sequenza censurata di Femmine folli ha una scena di orgia assai simile a quella di Eyes Wide Shut).

Stilisticamente, il “materialismo” kubrickiano significa due cose. Intanto, un rifiuto totale delle psicologie in nome di una prossimità alle pulsioni e ai corpi e ai labirinti della mente; anzi, in nome di una sorta di idea biologica e appunto sensista dei labirinti e degli abissi della mente. Lo aveva già notato Gilles Deleuze: «Il cervello domina il corpo che è solo una sua escrescenza, ma anche il corpo domina il cervello che è solo una sua parte. […] Se si considera l'opera di Kubrick, si vede a che punto è il cervello a essere messo in scena. Gli atteggiamenti di corpo giungono alla massima violenza, ma dipendono dal cervello. In Kubrick infatti il mondo stesso è un cervello, vi è identità tra cervello e mondo». E «il mondo-cervello è strettamente inseparabile dalle forze di morte». Gli esterni del film, con una grana pastosa e calda danno particolarmente idea di questa sensualizzazione dell'immagine filmica, tanto da far dire a un attonito recensore americano che sembravano delle riprese di prova, insomma dei sopralluoghi.

L'altro senso dello stile materialista di Kubrick è, paradossalmente, l'intellettualismo, un intellettualismo che ha come abbiamo visto radici assai complesse. La “freddezza”, il rifiuto di ogni pathos sono la cifra stilistica costante del film, che si nega a ogni seduzione nei confronti dello spettatore e costantemente esibisce il fatto di non rimandare a nient'altro che a se stesso. Il visibile è tutto: in questo senso il cinema di Kubrick approda qui alla negazione di ogni “trascendenza nel visibile”, di ogni tentativo di vedere l'invisibile nel visibile. Il rapporto con lo spettatore è mentale, razionale/animale. Potremmo dire che, partendo dall'arte “intellettualistica” del 700, Kubrick arrivi a Brecht (del resto, la “morte dell'arte” che sta alla base delle estetiche delle avanguardie era teorizzata da Hegel pensando anche e soprattutto al 700 di Diderot, Sterne e Hogarth). Molte parti del film sono assolutamente incomprensibili, sconcertanti se misurate in base alla percezione comune del bello, quella insomma che tacitamente ereditiamo dall'estetica romantica. La lunga tirata di Sydney Pollack, per esempio, che appesantisce la narrazione e banalizza la vicenda (o la ingarbuglia ancora di più, secondo i punti di vista) non rientra nelle economie della narrazione che siamo abituati a frequentare; e così tutta la seconda parte, in cui Tom Cruise ripercorre i luoghi in cui è già stato, in una specie di monotona coazione a ripetere (è probabile peraltro che Kubrick volesse intervenire su quest'ultima parte, fatto sta che comunque il film da un certo punto in poi si ripete) proprio perché non era probabilmente pensata sui tempi delle azioni e degli accadimenti ma su quelli di uno svolgimento mentale-sensuale che ha esigenze e tempi differenti da quelli del cinema corrente.

Il cinema di Kubrick si rivolge allo stomaco e al cervello, escludendo il “cuore”. E così si spiega anche quella stravagante passione di Kubrick per i giochi di parole, le allusioni, i falsi indizi, le didascalie, le spiegazioni e le contraddizioni. Quando Cruise entra nella stanza della prostituta, campeggia in primo piano un volumone con la scritta Introducing Sociology, una specie di cartellone da teatro epico brechtiano; senza contare i continui giochi sui nomi dei personaggi, da lei che si chiama Alice (through the mirror) alla parola d'ordine che è «Fidelio» (l'amor coniugale, ma anche un marito che si salva grazie alla moglie, e un crudele apologo sul potere), ai richiami al Mago di Oz (Over the Rainbow).

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