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Gezim e Agim sono gemelli omozigoti, entrambi sordomuti. Nonostante la menomazione conducono una vita tutto sommato appagante. Lavorano in una segheria, hanno rapporti sociali con amici e colleghi partecipando ad occasioni conviviali terminate con abbondanti bevute di raki, Gezim é fidanzato con la graziosa Ana. Finchè ad Agim, mentre lavora, entra in un occhio una scheggia di legno. L'oculista che lo visita gli diagnostica una malattia degenerativa che lo porterà gradualmente alla cecità. Spacciandosi per il gemello, torna dal medico, il quale gli rivela che anche Gezim ha lo stesso problema, precipitandolo nello sconforto e inducendolo ad un grottesco tentativo di suicidio.

A Cup of Coffee and New Shoes On, una coproduzione tra Albania, Portogallo, Grecia e Kosovo, racconta una di quelle vicende delle quali Borges direbbe che attengono più alla storia del crimine che non della letteratura, in quanto ricattatorie dal punto di vista emozionale. Il regista, l'albanese Gentian Koci, deve esserne  cosciente, perché si sforza di evitare tutti i rischi che presenta il soggetto, ispirato, come recita l'esergo, ad un fatto reale. Innanzitutto, raffreddando l'ottica della narrazione, che non si compiace mai di cedimenti al melodramma nell'affrontare quello che diventa un caso clinico sempre più complesso. La medesima secchezza la applica nell'enunciazione delle psicologie, a partire dal rapporto tra gemelli che l'uso della lingua dei segni tenderebbe a chiudere ancora di più in un mondo autoreferenziale. In esso tuttavia riesce ad entrare con sensibilità ed autorevolezza Ana, che è certo la ragazza di Gezim ma un po' anche di Agim, e in ogni caso non è in grado di sostituire il legame primario fra i due che, in una sequenza in cui dividono il letto con lei, finiscono abbracciati a ricomporre la loro posizione fetale. A prescindere da fin troppo ovvie differenze sul piano della consapevolezza stilistica, questo magma affettivo e sessuale fa venire in mente il Cronenberg di Inseparabili, nell'impossibilità di ogni via d'uscita, anche.

Appena accennato lo sfondo dell'Albania di oggi, che traspare forse simbolicamente in un'inquadratura di scheletri di ville e palazzi in perenne costruzione, il regista sceglie piuttosto un paesaggio di indubbio fascino come momento di apertura per un film più spesso racchiuso tra quattro mura. Ecco allora il sottobosco di faggi dove Gezim e Agim vanno a cercare funghi, i prati d'alta quota circondati da vette di aspetto dolomitico in cui ad un tratto i due si trovano quasi aggrediti da un piccolo branco di lupi. Ma, anche, quel lugubre presagio dell'unico camera car del film, quando l'automobile dei gemelli si addentra nelle sinuosità di una strada incastrata tra le rocce, a suggerire l'epilogo in cui Ana, in un'immagine rubata ai ciechi di Bruegel, farà loro da guida verso la baita dove consumeranno l'ultimo atto anticipato dal titolo, ciascuno davanti ad una tazzina di caffé, ai piedi le scarpe di vernice che la ragazza si premurerà di allacciare con cerimoniale solennità.