Concorso

Zero Days di Alex Gibney

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Stuxnet, chi è costui? In molti probabilmente hanno sentito parlare di questo virus informatico, ma in pochi ne conoscono le reali cause o le pericolose conseguenze. Alex Gibney ne indaga l’origine: si dice, ma mancano conferme ufficiali, che sia stato creato dal governo americano in collaborazione con quello israeliano. L’obiettivo era colpire una centrale nucleare iraniana, ma un malfunzionamento ha fatto sì che Stuxnet si diffondesse anche oltre il bersaglio e in maniera del tutto incontrollata. L’esistenza del virus è stata segnalata da una società di sicurezza bielorussa nel giugno 2010 e sull’argomento sono tornati successivamente anche Anonymous e soprattutto Edward Snowden che, a metà del 2013, ha confermato che Stuxnet è stato progettato dalla NSA in collaborazione con l’intelligence israeliana. Quella di Stuxnet, è una vicenda che si è trasformata in una delle principali tappe della guerra cibernetica contemporanea, un errore informatico che ha colpito l’Iran ma anche diverse altre nazioni, tra cui gli Stati Uniti d’America.

Come accade spesso nei suoi documentari, Alex Gibney ha la capacità di rendere avvincente qualsiasi argomento, approfondendolo con cura e dimostrando una profonda conoscenza delle tematiche trattate. Gibney lavora su centinaia di dati e informazioni, parole preziose dei tanti intervistati e immagini di repertorio inedite e suggestive: proprio come i suoi film migliori – da Taxi to the Dark Side a Going Clear: Scientology e la prigione della fede, passando per Mea Maxima Culpa: Silenzio nella casa di Dio – anche Zero Days è un lavoro di notevole spessore, narrativo e registico, capace di coinvolgere sia chi conosce già i fatti, sia chi non ne aveva mai sentito parlare.

Il regista non si vede (quasi) mai, ma la sua presenza si sente eccome ed egli, pur rimanendo nell’ombra e cercando saggiamente la pura cronaca, riesce sempre a ottenere ciò che vuole, dimostrando di avere uno sguardo personale, incisivo e unico. Vedendo Zero Days è facile che torni alla mente anche il bellissimo e sottovalutato Blackhat di Michael Mann, di cui, con un po’ di fantasia, potrebbe rappresentare il fratello minore, più interessato a descrivere la “semplice” realtà che a commentarla e reinventarla attraverso la finzione.