Panorama

Profile di Timur Bekmambetov

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Nell’epoca di internet, degli smartphone, di WhatsApp, Facebook e Skype raggiungere una persona in qualsiasi istante, ovunque essa si trovi è diventata la normalità. Lo sanno i bambini, gli adolescenti e anche le nonne; lo sanno i grandi marchi, che invadono potenziali acquirenti con campagne mirate, i politici, che sui social fanno gran parte delle campagne elettorali. Lo sanno anche i membri dell’Isis, che da anni cercano di reclutare su Facebook gli occidentali convertiti che hanno dimostrato un leggero interesse per la loro causa: un approccio amichevole, basato principalmente su sentimenti ed emozioni, finalizzato a creare un legame talmente forte da spingere le persone a partire per la Siria.

Ed è proprio per indagare sul reclutamento di giovani ragazze europee da parte dell’Isis che un’aspirante giornalista britannica creò, nel 2014, un profilo Facebook fittizio fingendosi convertita alla causa, dando così il via a una pericolosa relazione con uno jihadista.

Prima di essere un’indagine giornalistica, un thriller ad alta tensione o un film di denuncia, Profile è quindi una storia d’amore. Una storia d’amore tra due persone lontane ed estranee, nata e “consumata” sui social network, ma capace di crescere giorno dopo giorno. È anche una storia finta, tra due individui che fondamentalmente non esistono o perlomeno non sono ciò che dicono di essere; due opportunisti che sfruttano il proprio “partner” per ottenere ciò che vogliono, mentendo e alterando costantemente la realtà. Una storia che Timur Bekmambetov racconta interamente attraverso lo schermo del computer della sua protagonista, bombardando lo spettatore con un susseguirsi di pagine web, videochiamate, chat e filmati, dal primo all’ultimo fotogramma.

Probabilmente non esisteva un modo migliore per mettere in scena una vicenda come questa: un “nuovo modo di fare cinema” (come l’ha definito Bekmambetov stesso, già produttore di Unfriended e Search, tra i primissimi film ad utilizzare questa tecnica) che riesce già in partenza, anche svuotato da ogni contenuto, a trasmettere allo spettatore un’idea di mondo inevitabilmente finto, ma al contempo incredibilmente verosimile e credibile. 

Ed è davvero notevole la facilità con cui si venga risucchiati immediatamente in una finzione per noi oggi così familiare; in questo senso forse l’elemento più sorprendente di Profile è vedere come tutto, dalle icone sul desktop, alle pagine internet aperte nel browser, passando per le canzoni ascoltate su iTunes, riesca a fornire informazioni essenziali su storia e personaggi in maniera del tutto passiva e al tempo stesso immediata. Un’idea di cinema capace quindi di narrare con ogni oggetto presente sulla scena, di giocare costantemente con il nostro quotidiano, ma anche di far saltare sulla sedia lo spettatore con l’arrivo improvviso di una semplice chiamata o di far salire la tensione con uno scambio di battute in chat.

E se da un lato il “trucco” è svelato in partenza e lo spettatore è conscio fin da subito della menzogna da cui nasce la storia a cui sta assistendo, dall’altra Bekmambetov prova in tutti i modi a renderlo testimone della nascita di emozioni sincere, capaci di andare oltre l’opportunismo e la bugia. Sembra quasi che ciò più prema al regista russo - prima dell’indagine giornalistica, del thriller ad alta tensione o della denuncia - sia urlare a gran voce che anche nel mondo più finto, virtuale e falso di sempre, anche tra due persone che non esistono, possono nascere delle emozioni reali. In un cortocircuito espressivo che racchiude tutta la forza e l’interesse del suo film.