Concorso

The Beguiled di Sofia Coppola

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Dimenticate Don Siegel. Non siamo da quelle parti, non ci vuole e non ci prova neanche a stare lì, accanto al The Beguiled del 1971, Sofia Coppola. Come era prevedibile e auspicabile. Siamo invece, in pieno, nel suo cinema. Alienazione, annullamento della realtà, ripiegamento su una dimensione ombelicale completamente priva di orizzonte e una prigione come luogo.

Lo era la reggia di Versailles in Marie Antoinette come lo era lo sfarzoso Chateau Marmont di Somewhere, uno spazio altro, un mondo artificiale in cui i personaggi si trovano confinati. Il reale fuori. E, come è chiaro fin dall’inizio, quando la mdp si blocca al di qua del cancello che separa la grande casa in stile neogreco dal mondo, lo è anche il convitto gestito da Miss Martha. Il cancello si chiude. Tutto il resto sta fuori. 

La guerra, i caduti, la causa, il coraggio, la codardia, Nord, Sud… non esiste nulla al Miss Martha Farnsworth Seminary for Young Ladies, universo autoriferito in cui non c’è negoziazione tra esterno e interno ma solo calma, tranquillità, riparo, ubbidienza all’autorità di Miss Martha, alle regole, alle buone maniere, alla carità cristiana.

Un universo immobile che solo la materializzazione del reale può rimettere in moto. Nel momento stesso in cui il corpo del caporale John McBurney varca quella soglia è evidente infatti che l’equilibrio dello spazio chiuso della casa sarà per sempre perturbato. L’infrazione è compiuta. In quel preciso istante tutte le occupanti della casa prendono coscienza della possibilità di riappropriarsi del proprio spazio e del proprio tempo, di confrontarsi con il sé. Continuano a ricomporsi come gruppo nelle tante inquadrature che le mettono insieme, che le "posano" come in un dagherrotipo, ma subito il quadro è costretto a cedere per lasciarle andare. 

La sotterranea tensione verso l’esterno affiora infatti in superficie e si deposita sui vestiti, sui bottoni, sui nastri per i capelli, sulle spille del giorno di festa improvvisamente riscoperte, sui pendenti di perle sottratti goffamente, sul profumo spruzzato timidamente. Per il caporale? No, per se stesse. Irrilevante chi egli sia (e per questo è perfetta la scelta di Colin Farrell mollemente abbandonato al suo stesso cieco narcisismo), semplice mezzo arrivato - in stato di incoscienza - solo per innescare la riappropriazione.

Un processo tutt'altro che superficiale, ma che sta appunto tutto sulla superficie; su superfici che esplodono e che si ricompongono come la pelle lacerata di McBurney abilmente ricucita da Miss Martha, come la tela cucita intorno al suo cadavere prima di espellerlo. I punti ben stretti. E il cancello che si richiude.