Quinzaine des réalisateurs

Întregalde di Radu Muntean

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Întregalde. Un po’ come dire sperduto tra i monti. Una località che nessuno conosce in mezzo ai boschi della Transilvania. È lì che si dirige il fuoristrada a bordo del quale viaggiano MariaInlinca e Dan per portare, poco prima di Natale, i sacchi di aiuti umanitari destinati ai pochi abitanti di quei luoghi remoti. Sono amici oltre che colleghi, parlano delle loro vite, di quello che li aspetterà a casa, in città, alla fine di quella giornata di lavoro mentre, rassicurati dai gps dei loro telefoni, risalgono le strade impervie di montagna che li separano da Întregalde. L'occhio di Muntean sta dentro la macchina con loro, ce li racconta insieme alle parole quotidiane e complici con cui i tre riempiono labitacolo finché, un elemento imprevisto fa cambiar loro direzione e imprime uno scarto al film. Quando caricano Kente Aroon, un uomo anziano, non più lucidissimo che parla in continuazione e che sembra essersi perso, quel viaggio di lavoro come tanti si trasforma in una discesa verso il  nulla. Seguendo la deviazione suggerita dalluomo il fuoristrada si impantana, i tre si dividono, i telefoni non prendono e la tensione sale esplicitando la natura della narrazione. Inizia così unattesa infinita in cerca di qualcosa: la rete per telefonare, un aiuto da qualcuno che passa imprevedibilmente, il vecchio Kente che si è allontanato e rischia di congelare, un po’ di riparo dal freddo e poi, soprattutto, la mattina che dovrebbe portare la salvezza. Radu Muntean ritorna a Cannes con un’altra piccola storia quotidiana che muove però, questa volta, il suo sguardo realistico verso i territori del genere. Lavora con intelligenza alla scrittura disseminando elementi che inducono uninquietudine crescente e spostano il film verso l’horror senza mai davvero varcarne la frontiera ma costeggiandone piuttosto il limite con divertita ironia. 

Così Întregalde diventa una specie di cabin horror in cui l’auto prende il posto dello chalet nel bosco mentre il tempo si dilata (ma potrebbe dilatarsi anche di più arrivando quasi allinfinito) costringendo lo spettatore ad attendere quella mattina lontana insieme ai quattro che nella macchina esplodono e ricompongono continuamente la tensione. A fare da perno e da detonatore quell’anziano montanaro con il corpo scolpito dalla fatica e i lineamenti che arrivano da unaltra era, che scompagina continuamente ogni equilibrio faticosamente ristabilito dai tre cittadini. Un vero e proprio corpo comico super partes: fuori luogo, fuori tempo, fuori di testa, ridotto al silenzio solo da una pasticca di xanax. Kente parla senza fermarsi mai. Si impone senza curarsi né di loro né di altro, senza badare al freddo, ai bisogni fisiologici, alla fame, alla fatica, Kente è una sorta di dispositivo in moto perpetuo che irrompe, spiazza e riscrive le certezze ma anche le paure dei tre finiti per mezzo di quell’uomo in balia di quel luogo e di quel tempo che - da sempre - si bastano da soli. E che - forse - di aiuti consegnati a scopo elettorale non hanno nemmeno bisogno.