Cold in July di Jim Mickle

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Questa sera su Rai Movie (canale 24) alle 21:10 Cold in July di Jim Mickle. Il film, tratto dal romanzo di Joe R. Lansdale, fu presentato al 67esimo Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Pubblichiamo il pezzo che Lorenzo Rossi scrisse su Cineforum 535.


Lo scorso anno Jim Mickle si era fatto notare transitando dalla Quinzaine con We Are What We Are (2013), horror (remake di un celebre film messicano) incentrato su una famiglia del Midwest degli Stati Uniti costretta al cannibalismo da un padre padrone e fanatico religioso. Quest’anno il regista torna al Festival (sempre sponda Quinzaine) con un’opera molto più personale e originale, senza dubbio la più notevole fra quelle da lui realizzate finora. Cold in July, che in apparenza è la storia semplice e piuttosto risaputa dell’uomo della strada che all’improvviso e quasi incidentalmente – nella fattispecie a causa dell’omicidio per legittima difesa di un ladro che penetra nella sua abitazione – si trova catapultato in un mondo di crudeltà e abiezione costretto a farsi giustizia solo con le proprie forze e con l’aiuto di due (vecchi) avventurieri, è in realtà un film capace di sorprendere a ogni inquadratura.

Pur impostato su un impianto da thriller tradizionale il film di Mickle si muove attraverso una serie di registri molto diversi fra loro e bilanciati con grande intelligenza. I prestiti e le citazioni, che si contano a bizzeffe e che vanno da History of Violence (2005) e arrivano fino a Drive (2011) passando per Tarantino, Michael Mann e almeno un’altra mezza dozzina di film hollywoodiani degli anni Ottanta (in questo senso l’ambientazione del 1989 non appare per nulla casuale), si amalgamano in una struttura narrativa che da una vicenda tipicamente hitchcockiana vira rapidamente verso atmosfere decisamente più pulp. E del resto già il romanzo omonimo di Joe R. Lansdale che sta alla base del film mischia con abilità generi diversi: su tutti il noir classico e il western. Una materia cangiante e per nulla semplice da trasferire al cinema ma con la quale Mickle, come si diceva, sembra trovarsi a proprio agio. Così, proprio come era stato nel film precedente, anche qui la narrazione, composta, misurata e quasi sottrattiva nella prima parte, lentamente scivola verso il climax finale accumulando non solo pathos e tensione ma anche un’asprezza e una rabbia che contribuiscono a introdurre il bagno di sangue finale.

Ciò che pare funzionare meglio di tutto il resto, tuttavia, è la scrittura dei personaggi. Aiutato senz’altro dal romanzo di partenza, Mickle in coppia con Nick Damici, riesce a dar vita, tratteggiando i protagonisti, a un trio di personaggi quasi memorabile che sono anche magistralmente complementari l’uno all’altro. Michael C. Hall nel ruolo del padre di famiglia che si trova a fronteggiare malviventi e poliziotti corrotti è un personaggio molto più complesso di quel che sembra: l’epica che accompagna le sue gesta è infatti il contraltare della discesa nell’abisso alla quale è costretto. Abisso in cui sguazza come un pesce il vecchio e impenitente Russel: violento, perfido e per nulla misericordioso ex galeotto, tuttavia capace di lealtà verso i compagni e fiero portatore di una moralità tipicamente western. Come western è il personaggio più magnetico del film: l’ispettore privato Jim Bob Luke, vecchio personaggio dei romanzi di Lansdale, qui interpretato da Don Johnson. Come in un western eastwoodiano Jim Bob, tirato in mezzo per dare una mano e del tutto estraneo ai fatti, entra capofitto nella storia e guida l’assalto finale senza chiedere spiegazioni, senza opporsi e perché in fondo è la cosa giusta da fare. E perché, aggiungiamo noi, giù nel Texas le cose vanno così.