La grande scommessa di Adam McKay

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Questa sera alle ore 21:10 su Paramount Channel andrà in onda La grande scommessa di Adam McKay. Film del 2016 ambientato prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2007-2008 e incentrato sulla storia di un gruppo di investitori, interpretati da attori come Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt. Su Cineforum 551 (acquistabile quiSimone Emiliani firmò la recensione che riportiamo in parte, qui sotto. Anche Leonardo Gandini scrisse una recensione pubblicata sul nostro sito (qui).


Potrebbe avere l’andamento di un film sulle truffe pur mostrando lo scoppio della bolla del mercato immobiliare che poi ha portato a effetti tragici. La grande scommessa rifiuta infatti la narrazione classica per mostrare la crisi finanziaria del 2008, seguendo sì un percorso cronologico, ma con un ritmo interno che invece si getta a capofitto nel coordinare la velocità della parola con la velocità dell’azione, come se dalla prima si attivasse la seconda e viceversa. Più storie seguite parallelamente, un montaggio alternato che non costruisce per accumulo ma al contrario sembra portare a un senso di vuoto, come se all’improvviso mancasse il terreno e i protagonisti galleggiassero in un ipotetico film di fantascienza. 

[…] La grande scommessa è l’altra faccia del sogno americano, mostrandolo all’inizio della sua fase terminale, quando la banca è ormai diventata la sua più grande industria. Con un make up che trasforma in modo più o meno evidente i quattro protagonisti (soprattutto Ryan Gosling), con la presenza di una voce off che fa partire la narrazione in prima persona come nel caso del banchiere Jared Vennett, La grande scommessa potrebbe avere il look del documentario, quasi sulla scia di Michael Moore (Capitalism: A Love Story) o Charles Ferguson (Inside Job). Ma quelli che, in una sorta di inganno programmatico, potrebbero apparire come figure reali, se ce li immaginiamo privati dall’identità degli attori che li interpretano finiscono con il diventare delle maschere. Non c’è più una linea di confine tra verità e finzione, proprio come avviene nei film di Judd Apatow, non a caso produttore di molti altri lavori di McKay dai due Anchorman a Ricky Bobby.

[…] Nella sua notevole carica, La grande scommessa sembra apparentemente seguire le regole dell’intrattenimento, ma è in realtà un film estremamente complesso. Con la statura morale di molto cinema civile degli anni Settanta – una sorta di Tutti gli uomini del Presidente 2.0 che, come l’originale, smantella progressivamente tutte le fase illusioni su cui si regge una Nazione – ma senza nessuna necessità di omaggiarlo. Piuttosto, volendo fare un salto rischioso, quasi al limite dello scandaloso, in La grande scommessa si possono trovare riversati quei demoni neri che il cinema di Frank Capra, soprattutto negli anni Trenta, ma anche all’inizio degli anni Quaranta, ha tenuto fuori campo o lasciato sulla superficie dei personaggi negativi. L’illusione non è più eterna, nel cinema di McKay, ma ha una precisa data di scadenza. E il suo film si spezza proprio in due, come se nell’occhio di vetro di uno strepitoso Christian Bale nei panni di Michael Barry, si riflettessero i presagi del futuro di un’America amara. Con un film inizialmente denso di dialoghi che all’improvviso perde la voce. 

[…] C’è un sistema che crolla, […] Per questo, in tutta la parte finale, in La grande scommessa si potrebbero addirittura rintracciare degli elementi propri del cinema catastrofico. La malata euforia e la sfida iniziale vengono come inghiottiti […] La carica emotiva diventa incredibile proprio perché, paradossalmente, McKay non intende sottolinearla, ma lasciare ai suoi protagonisti un istante residuo di complicità, mostrandoli ancora come se filmasse con discrezione dei personaggi reali che non sanno di essere ripresi. Questo è un altro esempio dei caotici respiri di un film che depista, che prende all’improvviso più direzioni quando ci si è appena abituati a un ritmo, a un tono specifico. Non si sentono i suoni delle campane a morto di Boogie Nights, ma i suoni prendono il sopravvento, a cominciare dalle risate di sottofondo tipiche di una sitcom e dai fermi immagine. Ciò che si sta mostrando, visivamente, non è più sufficiente, serve altro per far sentire sulla pelle il crollo totale di un’illusione. E i segni di un’imminente distruzione sono già nella scena in cui Christian Bale si mette a suonare nervosamente alla batteria come volesse spaccare tutto. Poi, sono i suoni delle e-mail in arrivo impazzite, dei telefonini che vibrano e soprattutto di un disco in vinile che gira a vuoto dopo essere giunto al termine di un brano mai ascoltato. 

La grande scommessa stupisce per come sembra fermarsi, s’incanta, si arrotola su se stessa. Una dissolvenza in bianco trascina da un’altra parte. L’incredulità non ha la visibile drammaturgia di 99 Homes di Bahrani. Lo sguardo di McKay non ha più distanza. È trascinato dentro, circondato da ciò che sta mostrando. La stessa avvolgente mancanza di distanza di Apatow: come nel caso di quest’ultimo con il suo Questi sono i 40, anche La grande scommessa sembra un film pensato da tempo, forse rimasto nel cassetto per anni. Adam McKay poteva anche realizzarlo quattro o cinque anni fa, ma anche tra dieci. Al momento, il suo impatto appare davvero devastante.